Enzo Tortora arresto

Enzo Tortora in manette, 40 anni fa

«Se a distanza di tutti questi anni citiamo ancora il caso Tortora per parlare di errori giudiziari, vuol dire che tutto sommato noi magistrati non siamo poi così male». A dare retta all’autorevole toga, oggi in pensione, che ha rappresentato l’accusa in inchieste e processi rimasti nella storia d’Italia, nel nostro Paese gli innocenti in manette non esisterebbero o quasi e le vittime di ingiusta detenzione sarebbero solo colpevoli che l’hanno fatta franca. La realtà è che, a quarant’anni dall’immagine di Enzo Tortora in manette, le cose stanno diversamente.

I 30 mila fratelli di Enzo Tortora in manette

Enzo Tortora processo
Enzo Tortora in una pausa di un processo.

Anche a voler sorvolare sull’emergenza da ingiusta detenzione (985 casi l’anno, da oltre trent’anni), non è affatto vero che in Italia gli errori giudiziari non esistano o siano talmente pochi da essere derubricati a spunto sarcastico per una battuta in un talk show. Negli ultimi 32 anni, le persone che sono state condannate con sentenza definitiva, salvo poi essere assolte dopo la revisione del loro processo (è questa la definizione in senso tecnico di errore giudiziario), sono state 222. Vuol dire circa 7 l’anno. Poche? Andatelo a dire a Giuseppe Gulotta (22 anni dietro le sbarre perché costretto con la tortura a confessare un duplice omicidio che non aveva commesso) oppure ad Angelo Massaro (21 anni in cella con l’accusa di aver ucciso un suo amico, solo per colpa di un’intercettazione mal interpretata). Il peso degli errori giudiziari in un Paese non si misura con i numeri, ma con il dolore, l’angoscia, il trauma, l’immane fatica per sopportare l’onta, la tremenda solitudine in cui ci si ritrova al momento di dover ricominciare una vita da zero dopo una condanna ingiusta. È questo che accadde a Enzo Tortora, a partire da quel 17 giugno 1983. Ed è quello che continua ad accadere ancora oggi, come se quell’orrore giudiziario non avesse insegnato nulla, come se il fatto che sia capitato a una persona così in vista escluda a priori che possa succedere a tutti («Quello che è successo a me può succedere a chiunque. E io sono stato proprio quel “chiunque”», dice un protagonista di Non voltarti indietro).

Non è cambiato nulla

Enzo Tortora con figlie
Enzo Tortora con le figlie Gaia e Silvia.

Che cos’è cambiato dal giorno di Enzo Tortora in manette? Nulla o per lo meno pochissimo. E non lo diciamo solo noi. Ne è profondamente convinta la figlia Gaia, lo sostiene l’ultima compagna di vita Francesca Scopelliti, lo ricorda l’avvocato Gian Domenico Caiazza, che fece parte del collegio difensivo di Tortora. I collaboratori di giustizia, che inchiodarono il presentatore con le loro calunnie continuano ancora oggi a far spedire innocenti in prigione per utilità personale, per vendetta o per sentito dire. Nei palazzi di giustizia spuntano tuttora magistrati superficiali, talvolta innamorati della propria tesi al punto da procedere con il paraocchi e ignorare gli elementi che potrebbero scagionare l’indagato (gli anglosassoni lo chiamano “tunnel vision”). E rarissimamente, quasi mai pagano per i propri errori. Spesso e volentieri, anzi, fanno carriera. Esattamente come accadde ai magistrati che massacrarono Tortora.

Pure i media non sono poi così diversi da quelli che fecero a gara per mettere su un ignobile tiro al piccione contro Enzo Tortora in manette: gli insulti neanche troppo velati dell’epoca si sono trasformati in paginate di intercettazioni irrilevanti, oltraggiose e umilianti non solo per l’indagato, ma anche per chi gli è vicino e assiste attonito e impotente al deflagrare dello spettacolo decadente del circo mediatico giudiziario.

Referendum responsabilità civile magistrati
La locandina del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, nel 1987.

Enzo Tortora fu fatto sfilare, schiavettoni ai polsi, davanti a frotte di fotoreporter e telecamere convocate per l’occasione. Oggi una legge lo vieta, ma a un uomo innocente può capitare ancora di camminare in catene, tra poliziotti armati, sotto gli occhi dei passanti terrorizzati.

Il legislatore, in questi quarant’anni, ha saputo solo ignorare un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati (vinto dai “sì” con percentuali bulgare), pensando di metterci una pezza con una legge tanto blanda quanto inefficace.

La verità è che il caso Tortora andrebbe insegnato forse già a scuola. Noi proviamo a far nostro l’insegnamento dello stesso Enzo Tortora («voglio dare voce a chi voce non ha») portando ai cittadini la nostra attività e la testimonianza delle vittime di errori giudiziari. Ma siamo solo una goccia nell’oceano. L’esercito delle vittime di errori giudiziari e ingiusta detenzione merita molto di più.

 

Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone

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