Ha passato vent’anni in carcere con l’accusa di essere un serial killer. Ma era innocente, vittima di un clamoroso errore giudiziario. E ha dovuto aspettare ben 31 anni dalla sua condanna ingiusta all’ergastolo, prima che un processo di revisione ne stabilisse la totale estraneità a ogni accusa. È la storia di Yoon Sung-yeo, un cittadino della Corea del Sud originario di Hwaseong, un centro rurale vicino alla capitale Seul.
Era poco più che ventenne Yoon Sung-yeo quando, nel 1988, fu arrestato come responsabile della violenza sessuale e dell’omicidio di una ragazzina di tredici anni. La vittima fu una delle 10 coetanee assassinate da un serial killer che tra il 1986 e il 1991 colpì in quella zona, una scia di sangue che colpì moltissimo l’opinione pubblica e fu ribattezzata dai media come “gli omicidi di Hwaseong”.
Gli investigatori sostennero che Yoon Sung-yeo, unica persona arrestata per quei delitti, era penetrato all’interno della casa della ragazzina uccisa arrampicandosi su un alto muro di cinta. Ma l’uomo non avrebbe mai potuto farlo: soffriva infatti di una zoppia dovuta alla poliomielite di cui aveva sofferto da bambino. Purtroppo, però, a inchiodarlo definitivamente fu la confessione che egli stesso fornì in carcere e che portò a una sentenza di condanna all’ergastolo nel 1989: non aveva retto, come si sarebbe scoperto in seguito, alle torture subite dietro le sbarre, tra cui privazione del sonno per tre giorni consecutivi, digiuno quasi totale e altre pratiche illecite.
In carcere da innocente Yoon Sung-yeo è rimasto per vent’anni, fino al 2009, quando è stato rilasciato sulla parola. Ma su di lui sarebbe rimasta per sempre una condanna per violenza sessuale e omicidio, se non fosse saltato fuori un fatto nuovo capace di rivoluzionare il quadro dei fatti. Nel settembre 2020 un test del Dna ha collegato alcuni degli omicidi di Hwaseong a un uomo, Lee Chun-jae, già in carcere dal 1994 per aver ucciso la cognata. A quel punto, lo stesso Lee Chun-jae ha confessato di essere l’autore di tutti gli altri stupri e assassini che tanto avevano sconvolto la Corea del Sud negli anni precedenti, più altri quattro che fino a quel momento non erano mai stati considerati. Facendo luce, in questo modo, sul più lungo caso di omicidi irrisolti della storia della Corea del Sud.
Il processo di revisione che ha scagionato definitivamente Yoon Sung-yeo, cominciato nel novembre 2020, si è concluso il 17 dicembre. Al termine della lettura della sentenza di assoluzione, il giudice Park Jeong-jae si è scusato pubblicamente con l’imputato: «Come rappresentante della magistratura della Corea del Sud, mi scuso con l’imputato, che ha sofferto un grande dolore fisico e mentale a causa dell’incapacità del tribunale di essere un bastione per la difesa dei diritti umani. Speriamo vivamente che questo nuovo processo sia una piccola consolazione e contribuisca a ripristinare il suo onore». Subito dopo, è esplosa tutta la gioia di un fitto gruppo di sostenitori di Yoon Sung-yeo presenti in aula, che hanno consegnato mazzi di fiori alla vittima di questo errore giudiziario.
La pubblica accusa ha annunciato che non impugnerà la sentenza.
Anche i rappresentanti della polizia della Corea del Sud si sono scusati pubblicamente (una prassi abbastanza comune in questi casi in diversi Paesi dell’Estremo Oriente), attraverso un comunicato ufficiale, «per aver stigmatizzato come assassino un giovane uomo innocente. Davanti a lui e alla sua famiglia chiniamo il capo, come segno delle nostre scuse più sentite».
«Spero che la mia vicenda serva a far sì che non succeda ad altri quello che è accaduto a me», ha detto Yoon Sung-yeo, che oggi ha 53 anni. « si è detto «sollevato» dal verdetto che gli permette di liberarsi «di un fardello portato per 30 anni».
La vicenda ha suscitato accese polemiche in Corea del Sud dove è raro che la magistratura accetti le domande di revisione di un processo.
(fonti: Agi, New York Times, KBS World Radio)
Ultimo aggiornamento: 17 dicembre 2020