Corte di Cassazione ingiusta detenzione

Cassazione e ingiusta detenzione: dimmi in che casa abiti, ti dirò che indennizzo avrai

Sei stato agli arresti domiciliari, salvo poi essere giudicato innocente? Molto probabilmente avrai diritto a un indennizzo per ingiusta detenzione. Ma il suo ammontare può dipendere dalla tipologia dell’abitazione in cui hai trascorso quel periodo di carcerazione preventiva. Si potrebbe sintetizzare così il significato di una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso di un commercialista e giudice tributario che chiedeva di avere una somma più alta di quella inizialmente ottenuta dai giudici per 47 giorni trascorsi in carcerazione preventiva a casa. La vicenda in cui era rimasto coinvolto con altri 82 indagati, dalla quale era uscito con un’archiviazione, riguardava un’inchiesta per corruzione in atti giudiziari.

All’uomo erano stati inizialmente liquidati poco più di 5500 euro, perché i giudici si erano limitati ad applicare i criteri con cui normalmente si calcola il risarcimento per ingiusta detenzione. Ma il professionista ha ritenuto l’importo non sufficiente e ha impugnato il provvedimento.

Va detto che secondo la Corte di Cassazione, il giudice ha il potere di rivedere al rialzo o al ribasso l’indennizzo, che non è un risarcimento in senso tecnico, ma «un’equa riparazione tesa a compensare le ricadute sfavorevoli, patrimoniali e non» nei confronti dell’indagato o imputato.

Nel calcolo vanno considerate quindi circostanze oggettive come le modalità più o meno gravose della detenzione e quelle soggettive come il fatto di essere incensurati, le condizioni economiche, il danno all’immagine, la risonanza della notizia e via dicendo. Da considerare irrilevanti, invece, fattori come la classe sociale, la presunta maggiore o minore sensibilità alla privazione della libertà e la capacità di produrre reddito.

Nel valutare il ricorso dell’uomo, la Corte di Cassazione ha ritenuto che non fosse stata dovutamente considerata soprattutto la lesione all’immagine professionale. E i giudici di appello avevano alzato il risarcimento a 8 mila euro. Ma anche questa somma, per il giudice tributario, era ancora troppo bassa. L’uomo ha quindi presentato un ulteriore ricorso nel quale ha sostenuto che i giudici avessero svalutato la sofferenza psichica subita solo perché aveva trascorso il periodo degli arresti domiciliari in un’abitazione di pregio, in una bella zona della città. Il fatto di aver passato in una “gabbia dorata” un periodo di restrizione, tutto sommato breve, non avrebbe accentuato il disagio psicologico, come necessario per liquidare un danno più alto della media. E in più avrebbe offerto all’esterno una percezione necessariamente attenuata della vicenda. Ma non basta: secondo la vittima di ingiusta detenzione, i giudici non avrebbero valutato fino in fondo la gravità del suo stop professionale di sei mesi nelle sue vesti di membro di una commissione tributaria, con evidenti ripercussioni sull’immagine superiore a quelle ipotizzate. Senza contare un aggravamento delle sue condizioni di salute fisiche e psicologiche (dopo la detenzione era diventato più litigioso e disinibito verbalmente).

Per la Cassazione, però, nessuno dei due ultimi punti è stato effettivamente legato all’ingiusta detenzione: sul lavoro, perché il professionista era stato nominato presidente di una commissione tributaria anche dopo la vicenda in cui era rimasto coinvolto. E dal punto di vista dell’immagine, perché il risalto della notizia era stato attenuato dal fatto che l’indagine aveva inizialmente coinvolto altre 82 persone. Per quanto riguarda infine la sofferenza causata dall’obbligo di restare in casa, questa non era da considerare superiore alla media, anche in considerazione del tipo di abitazione dove aveva trascorso i 47 giorni di ingiusta detenzione.

 

(fonte: Il Sole 24 Ore)

Ultimo aggiornamento: 26 ottobre 2021

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