indennizzo negato dal giudice

«È vero, non dovevamo arrestarti: ma avresti dovuto dircelo tu»

Lo hanno arrestato e messo in carcere senza che vi fossero motivi per farlo. Lo hanno tenuto dietro le sbarre per la bellezza di quattrocentotrentatré giorni, pari a più di quattordici mesi di ingiusta detenzione. Poi, una volta che l’errore giudiziario alla base di tutto questo è venuto fuori, invece di scusarsi e risarcirlo, gli hanno detto: «No, ci spiace, non avrai alcun indennizzo. Perché avresti dovuto dircelo tu, che non avremmo dovuto arrestarti». È una storia paradossale, a tratti surreale, quella che ha visto protagonista A. V., finito nelle maglie della giustizia che sbaglia in modo marchiano e sembra non voler fare nulla per riparare. A scovarla, l’avvocato Riccardo Radi, amico e sostenitore di Errorigiudiziari.com. Gli abbiamo chiesto di aiutarci a ricostruirla nei suoi tratti principali.

«Tutto parte il 6 maggio 2015, a Cagliari, quando il signor A. V. viene condannato a un anno e otto mesi di reclusione per due reati di cui agli articoli 5 e 10-ter del d.lgs n. 74/2000. Semplificando, per evasione dell’Iva», dice l’avvocato Radi. Un anno dopo che la sentenza diviene esecutiva, A. V. è costretto a scontare la sua pena in carcere. «Il difensore presenta subito due istanze con le quali chiede al giudice dell’esecuzione la revoca della sentenza, in quanto nell’ottobre del 2015, per il reato di evasione dell’Iva su importi inferiori a 250 mila euro, era intervenuta la depenalizzazione con il D. Lgs n. 158/2015», osserva ancora Radi. «Non solo: al secondo reato che aveva comportato la condanna di A. V. era applicabile l’indulto, essendo stato commesso il 30 gennaio 2006».

Le due istanze vengono accolte dal giudice dell’esecuzione, che stabilisce la scarcerazione dell’uomo arrestato ingiustamente. Ma dal giorno in cui A. V. è entrato in cella, è passato tanto tempo: l’uomo riacquista la libertà solo il 5 ottobre 2017, dopo quattrocentotrentatré giorni dietro le sbarre senza motivo.

A quel punto, la difesa di A.V. decide di presentare un’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, dando per scontato che il suo assistito ha diritto a un indennizzo per quei giorni trascorsi in un carcere: «E invece il 25 febbraio 2020 arriva la prima sorpresa. La Corte di appello di Cagliari respinge l’istanza. I giudici, pur dando atto della reclusione ingiusta patita dall’uomo, protrattasi per un anno, due mesi e otto giorni, sostengono che A. V. avrebbe potuto chiedere fin da subito l’applicazione dell’indulto e il riconoscimento dell’abrogazione del reato oramai depenalizzato. Non lo ha fatto e questo, per la corte, costituisce un comportamento gravemente colposo», sottolinea l’avvocato.

Inevitabile il ricorso in Cassazione. Dove, finalmente, A.V. trova conforto: il 4 novembre 2021 i giudici della Suprema Corte annullano l’ordinanza con cui i loro colleghi di Cagliari avevano respinto le richieste dell’uomo, evidenziando che sia la depenalizzazione sia l’indulto dovevano essere rilevati dall’autorità giudiziaria precedente, non certo segnalati dall’imputato. Scrive la Cassazione: «Appare indubbio che, in relazione ai reati per cui A. V. era stato  condannato, i giudici di sorveglianza e (almeno in parte) quelli della cognizione che si occuparono del caso, ben potevano e dovevano rendersi conto, anche a  prescindere dall’iniziativa del condannato, dell’applicabilità di istituti che avrebbero caducato il titolo esecutivo ed evitato così al ricorrente la sottoposizione a regime restrittivo. Invero, già all’atto della sentenza di condanna il Tribunale di Cagliari avrebbe potuto e dovuto accorgersi che il reato commesso nel gennaio 2006 e rientrante fra quelli condonabili, era coperto da indulto; quanto al secondo reato, la sopravvenuta depenalizzazione ben poteva essere rilevata  nell’ambito del procedimento di sorveglianza. Di tal che non appare sostenibile che la mancata proposizione della questione da parte di A. V. possa essere imputata al ricorrente a titolo di colpa grave ostativa all’indennizzo».

Insomma: era l’autorità giudiziaria a dover segnalare ai giudici di primo grado la depenalizzazione di un reato e l’applicabilità dell’indulto all’altro reato, non certo A. V. A cui non può essere quindi negato l’indennizzo per ingiusta detenzione.

Com’è finita? La Cassazione ha annullato la decisione della Corte di appello di Cagliari e rinviato ad altra sezione della Corte, per un nuovo giudizio sulla domanda di ingiusta detenzione: «In questo modo ha per fortuna posto rimedio a un atteggiamento discutibile dei magistrati di appello di Cagliari. A questi non solo non importa che i loro colleghi di primo grado abbiano commesso l’errore di non accorgersi di elementi fondamentali, la depenalizzazione e la suscettibilità all’indulto, ma addirittura pretendevano di imputare lo sbaglio al malcapitato di turno che aveva provato a chiedere un indennizzo per l’ingiusta detenzione subita».

 

Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone

Ultimo aggiornamento: 13 dicembre 2021

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