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Ingiusta detenzione, 9 motivi per cui lo Stato riduce l’indennizzo

Abbiamo più volte sottolineato come lo Stato, non riuscendo a fronteggiare la spesa colossale in indennizzi per ingiusta detenzione e risarcimenti per errori giudiziari, le prova tutte pur di tagliarne gli importi. Uno dei modi meno conosciuti è ricorrere al concetto di “colpa lieve”. Vediamo di cosa si tratta.

Per avere diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, cioè l’indennizzo previsto dalla legge per coloro che hanno subìto la custodia cautelare salvo poi essere riconosciuti innocenti, bisogna non aver indotto i giudici, con dolo o colpa grave, ad applicare quegli arresti. E fin qui niente di nuovo, lo prevede l’art. 314 del codice di procedura penale. Pochi sanno, però, che ormai da diversi anni c’è un nuovo elemento di cui bisogna tenere conto quando si parla di riparazione per ingiusta detenzione: la colpa lieve. Il legislatore non l’ha prevista espressamente in questo contesto, ma sempre più sentenze della Cassazione ne hanno sancito l’esistenza. Attenzione, non stiamo dicendo che la colpa lieve tolga il diritto all’indennizzo come accade in caso di dolo o colpa grave; ma il suo effetto si fa sentire eccome: incide infatti sull’entità della riparazione, causandone una riduzione. E dando luogo, spesso e volentieri, a situazioni paradossali.

Ne abbiamo individuate nove tra le più frequenti, singolari e decisamente discutibili.

 

1) Essere rimasto in silenzio durante l’interrogatorio

Avvalersi della facoltà di non rispondere, nonostante sia un diritto riconosciuto per legge all’indagato, può essere un esempio di colpa grave che elimina il diritto all’indennizzo; ma può anche influire sull’entità dell’importo che verrà concesso per riparare l’ingiusta detenzione. Gli esempi possibili sono diversi, limitiamoci a uno: S.M.L.V., arrestato con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, aveva passato 16 giorni in carcere e 519 agli arresti domiciliari. Assolto perché il fatto non sussiste, si è visto riconoscere un indennizzo decurtato del 50% per essersi avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia. E nulla conta che in un secondo interrogatorio, davanti al Tribunale della Libertà, lo stesso indagato aveva rilasciato ampie dichiarazioni.

2) Avere frequentazioni poco raccomandabili

G. M. è stato vittima di uno scambio di persona. Arrestato con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, era rimasto in carcere per 1196 giorni. La prova regina nei suoi confronti avrebbe dovuto essere un’intercettazione telefonica in cui si parlava di lui come di “U Giusto”, ma quello non era mai stato il suo soprannome. Una volta assolto, si è visto decurtare l’importo dell’indennizzo per ingiusta detenzione del 30%. Il motivo? Aveva avuto tre contatti telefonici con persone effettivamente appartenenti alle cosche. E a nulla era servito spiegare che il paese in cui G. M. vive è ad alta densità mafiosa e che era quasi impossibile non avere contatti con persone poco raccomandabili.

3) Non avere una memoria da elefante è una colpa lieve

A. C. finisce in carcere con l’accusa di rapina, detenzione e porto abusivo di arma. Durante l’interrogatorio di garanzia che si svolge a distanza di un anno dai fatti contestati, si limita a protestare la propria innocenza, a spiegare che non può ricordare nei dettagli dove fosse e cosa facesse tanto tempo prima, e a sottolineare il problema di cui soffre: è sordo, circostanza che lo porta anche a essere particolarmente stringato nelle sue dichiarazioni. Ma non c’è niente da fare: resterà in cella 201 giorni più altri 93 giorni agli arresti domiciliari. Una volta riconosciuta la sua estraneità a ogni accusa, si vedrà tagliare l’importo dell’indennizzo per ingiusta detenzione del 58%. Il motivo? «Non ha fornito un alibi, limitandosi a dichiararsi innocente».

4) Non essere stati pienamente collaborativi

A. S., 390 giorni in carcere e 444 agli arresti domiciliari con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’usura e all’estorsione, e sempre assolto con formula piena, ha ottenuto un indennizzo per ingiusta detenzione ridotto del 50%. Il motivo? Aveva fornito notizie utili allo sviluppo delle indagini in ritardo, cioè soltanto nel corso dell’interrogatorio davanti al pubblico ministero. Secondo la Cassazione, «l’assenza di un atteggiamento pienamente collaborativo può rilevare anche allorquando ciò che viene taciuto non conduca a un sovvertimento dell’ipotesi investigativa, ma rappresenti un mero vantaggio verso il chiarimento dei fatti».

5) Avere avuto precedenti penali? È colpa lieve

La signora C. G., arrestata per sequestro di persona, rapina e lesioni, ha trascorso agli arresti domiciliari 657 giorni. Assolta con sentenza definitiva, ha chiesto e ottenuto un indennizzo per ingiusta detenzione. Ma l’importo è stato tagliato del 30%, per la “colpa lieve” di aver avuto dei precedenti penali per reati contro il patrimonio. La Cassazione sostiene infatti che chi ha già avuto problemi con la giustizia ha un’immagine sociale già compromessa. E gli arresti, seppure ingiustificati, comportano un discredito minore rispetto a chi ha la fedina penale pulita.

6) Essere già stato in carcere

Chi ha già conosciuto il carcere per aver subìto condanne definitive, deve prepararsi a un indennizzo ridotto nel caso si trovi a essere vittima di un’ingiusta detenzione. Secondo la Cassazione, infatti, “avere dimestichezza con l’ambiente carcerario rende meno traumatica l’ingiusta privazione della libertà”. Come a dire: d’accordo, non dovevi finire in carcere; ma tutto sommato, visto che c’eri già stato in passato, non puoi aver avuto un trauma eccessivo.

7) Avere una «personalità estremamente negativa»

R. B., 1060 giorni di custodia cautelare in carcere per associazione per delinquere di stampo mafioso, assolto con sentenza definitiva. Al momento di richiedere un indennizzo per ingiusta detenzione, si vede tagliare l’importo di oltre il 60% per la «condizione personale e il comportamento in epoca precedente e durante il procedimento (…) il certificato del casellario rivela una personalità estremamente negativa». Quando si tratta di pagare, insomma, per lo Stato conta più come colpa lieve la personalità di un cittadino che la sua innocenza.

8) La colpa lieve di aver avuto una condotta amorale

L’avvocato Fabio Tringali ha passato 7 giorni in carcere e 106 giorni agli arresti domiciliari con l’accusa di riduzione in schiavitù. Assolto con formula piena, si è comunque visto ridurre del 20% l’indennizzo ottenuto per ingiusta detenzione con la motivazione che aveva tenuto un comportamento amorale: quella stessa condotta che per una corte d’assise non aveva avuto valore di reato, è stata invece ritenuta riprovevole dai giudici d’appello che hanno fissato l’importo dell’indennizzo.

9) Avere avuto un avvocato poco preparato

M. C., 702 giorni in carcere da innocente, si è visto tagliare del 25% l’indennizzo per ingiusta detenzione poiché il suo avvocato aveva commesso un errore procedurale: per ottenere la scarcerazione del suo cliente, aveva fatto ricorso a un rimedio processuale che aveva finito per allungare i tempi della giustizia. Se avesse utilizzato un altro tipo di ricorso, il suo assistito sarebbe uscito prima di prigione. Morale: lo Stato non solo non doveva arrestarti, ma ti pagherà un indennizzo inferiore al dovuto perché ti sei fatto difendere da un avvocato poco preparato.

 

Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone
(con la consulenza dell’avv. Riccardo Radi)

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