Mika Nishiyama

Dodici anni in carcere, costretta a confessare un omicidio mai commesso

Ha preso le mani della madre tra le sue e l’ha guardata fissa negli occhi senza dire una parola. Con questo gesto semplice, ma potente, Mika Nishiyama, un’infermiera giapponese di 40 anni, ha voluto ringraziare la sua mamma ormai quasi settantenne, subito dopo averla vista singhiozzare in tribunale alla lettura della sentenza che sanciva l’innocenza della figlia. Il primo sospiro di sollievo per lei, dopo oltre 12 anni di angoscia profonda.

È una brutta storia, quella di Mika Nishiyama. Uno dei tanti, troppi errori giudiziari che si verificano ogni anno in Giappone (l’unico Paese al mondo in cui il problema dei condannati ingiustamente è talmente diffuso che esiste addirittura un giornale dedicato solo a questo). Condannata per l’omicidio in realtà mai commesso di un suo paziente, costretta a una confessione estorta durante un duro interrogatorio, Mika Nishiyama ha passato 12 anni in carcere da innocente. E solo grazie a un nuovo processo, che la sua difesa è faticosamente riuscita a ottenere, è stata riconosciuta non colpevole. Il motivo? Il più incredibile: a uccidere quel paziente non era stata lei; quell’uomo era morto per cause naturali.

Mika Nishiyama
Mika Nishiyama, durante la conferenza stampa dopo l’assoluzione.

Tutto aveva avuto inizio nel 2004, quando la polizia, indagando sulla morte di un paziente ricoverato presso l’ospedale di Shiga, nella prefettura omonima (Giappone occidentale), avvenuta l’anno prima, interroga l’infermiera che si era occupata di lui: Mika Nishiyama. Dopo un lungo e durissimo interrogatorio, la donna crolla e confessa di aver tolto il respiratore al suo paziente, un uomo di 72 anni, provocandone la morte. Agli inquirenti sembra fatta, il caso per loro è chiuso. Ma c’è un particolare: la confessione dell’infermiera non è spontanea, le sue parole non corrispondono alla verità. Quell’autoaccusa è il frutto di una pressione psicologica fortissima che l’ha indotta a cedere, esausta e disperata. Ma non c’è niente da fare.

Mika Nishiyama viene condannata a 12 anni di reclusione nel 2005, nonostante abbia subito ritrattato quella sua confessione. E la pena è confermata anche dalla Corte Suprema nel 2007.

I suoi avvocati, tuttavia, non si danno per vinti. Raccolgono nuove prove, tra cui consulenze mediche che dimostrano come la morte del paziente sia stata in realtà causata da un’aritmia cardiaca. E chiedono che venga celebrato un nuovo processo. La loro istanza, presentata nel 2010, va a buon fine soltanto sette anni dopo. Dopo diversi altri passaggi (prima la Corte Suprema di Osaka, poi quella nazionale), a febbraio 2020 cominciano le nuove udienze. I giudici si convincono che la confessione della donna avrebbe dovuto essere considerata da subito inaffidabile, perché le sue dichiarazioni su un punto chiave (il fatto che l’allarme del respiratore continuava a suonare) erano bruscamente cambiate. Non solo: secondo i nuovi giudici, uno di coloro che l’avevano interrogata aveva approfittato di una certa attrazione che la donna era sembrata avere nei suoi confronti. Con il risultato di ottenerne una confessione che combaciasse con la tesi dell’accusa.

Il 31 marzo 2020 arriva il verdetto definitivo. Il Tribunale di Otsu dichiara Mika Nishiyama non colpevole per la morte del suo paziente. La cui vera causa «potrebbe essere stata un’aritmia cardiaca o una carenza di ossigeno dopo un tentativo di espettorazione non andato a buon fine».

Fuori dal tribunale, un gruppo di suoi sostenitori accolgono Mika Nishiyama con un applauso, mentre il collegio di avvocati sventola le carte in cui si dice che l’infermiera quarantenne è stata riconosciuta «non colpevole».

Se la pubblica accusa non farà appello (ha 14 giorni per farlo), l’infermiera sarà finalmente una donna innocente. Dopo 12 anni di ingiusta detenzione e un errore giudiziario lungo 16 anni.

 

(fonte: Kyodo News)

Ultimo aggiornamento: 1 aprile 2020

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