Frame dal docufilm sull'ingiusta detenzione" Non voltarti indietro" – Francesco Del Grosso

Il docufilm che racconta quel che l’Italia non vuole vedere

Per prepararsi al meglio a “Portobello”, l’attesa serie di Marco Bellocchio per HBO Max su Enzo Tortora – l’indimenticabile personaggio televisivo degli anni Settanta e Ottanta arrestato ingiustamente a Roma per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico –  bisogna vedere necessariamente “Non voltarti indietro”, il primo docufilm sull’ingiusta detenzione realizzato in Italia.

Ogni anno in Italia, almeno mille persone finiscono in carcere da innocenti. Un dato che ha la forma di una condanna, ma non per chi sbaglia. Lo Stato, negli ultimi trent’anni, ha speso più di 900 milioni di euro per risarcire errori giudiziari e ingiuste detenzioni. Un numero che non dice tutto. Perché non si possono contare, né risarcire, le notti passate a fissare un soffitto sconosciuto, l’umiliazione di una perquisizione corporale, il silenzio improvviso degli amici – o di chi si considerava tale – e la vita che si sgretola tra quattro mura di cemento e acciaio.

Un racconto corale nel docufilm sull’ingiusta detenzione

A raccontarlo, con forza e pudore, è il regista Francesco Del Grosso, che di “Non voltarti indietro” ha curato anche soggetto e sceneggiatura insieme a Benedetto Lattanzi, Valentino Maimone e Stefano Oliva. Il docufilm sull’ingiusta detenzione costruisce un racconto corale di cinque vite qualunque, spezzate da un sistema che pesca a strascico e decide.

I protagonisti del docufilm sono Daniela Candeloro, Vittorio Raffaele Gallo, Fabrizio Bottaro, Antonio Lattanzi e Lucia Fiumberti. Una commercialista, un impiegato postale, uno stilista, un assessore comunale, una dipendente pubblica. Persone comuni, con giornate normali scandite dal lavoro, dalla famiglia, dagli affetti. Fino al giorno in cui la giustizia li travolge con manette, accuse infondate, custodie cautelari e processi interminabili.

Una regia tra realismo e umanità

La regia è naturalmente realistica, ma sa anche piegarsi a una bellezza cinematografica. I dettagli degli interni domestici, le mani, gli sguardi presenti e poi nel vuoto, a trovare i ricordi: ogni inquadratura vuole restituire dignità più che pietà.

Quello che “Non voltarti indietro” riesce a fare è più di una denuncia. È un ritratto umano, profondo ed empatico. Un docufilm sull’ingiusta detenzione che racconta il carcere come esperienza esistenziale, non solo giuridica. Un diario nero della giustizia e un’indagine in cui il carcere non è solo un luogo fisico, ma una dimensione mentale che si insinua e non se ne va più.

Dentro il carcere, oltre le sbarre

Dalla parte più interessante, sconosciuta: l’entrata in cella, la vita dentro, le parole dei protagonisti: ciò che gli occhi di chi sta fuori non possono neanche immaginare. E poi la parte più emozionante: l’uscita che sembra essere, nelle parole degli intervistati, quasi una nuova messa al mondo. Dolorosa e faticosa, in cui bisogna imparare a camminare con vecchi pesi sulle spalle da togliere ma nuovi da saperne portare.

Il docufilm sull’ingiusta detenzione tra premi e custodia cautelare

Le loro storie hanno commosso e fatto riflettere il pubblico di 18 festival cinematografici, dove il docufilm ha ottenuto importanti riconoscimenti, tra cui una Menzione Speciale ai Nastri d’Argento Doc nel 2017. Uno dei temi centrali è la custodia cautelare, un male necessario, di cui a volte però si abusa: si può finire in cella prima ancora che si pronunci una sentenza. Certo, è un presidio di sicurezza, ma è un’assicurazione in troppi casi sproporzionata come farebbero genitori decisamente ansiosi e iperprotettivi verso i propri figli.

Le citazioni che danno voce al docufilm sull’ingiusta detenzione

«Un errore giudiziario è sempre un capolavoro di coerenza», scriveva Daniel Pennac. Una citazione che insieme ad altre – da Gandhi a Zola –, divide il documentario come un timbro poetico. E molto coerentemente la macchina giudiziaria sembra muoversi con la stessa meccanica spietata di un orologio: fredda, inesorabile, incurante dei margini d’errore. Si preferisce ancora pensare che certi drammi siano eccezioni. Invece sono sistemici, silenziosi, quotidiani.

Un titolo che è anche un monito

Il titolo, che prende origine dal consiglio nel corridoio dell’uscita per la libertà, diventa un nuovo monito: non voltarti indietro. Ma come si fa, davvero, a non guardare indietro quando il passato lascia cicatrici che nessun risarcimento può guarire?

Forse la risposta è nelle parole dei protagonisti stessi, nella loro forza sottile, nella tenerezza che traspare da chi ha perso tutto e ha trovato dentro sé un’altra versione di sé. Una più vera. Più libera. Paradossalmente, proprio dietro le sbarre.

La rinascita raccontata da Goliarda Sapienza

«Sconosciuto pianeta che pure gira in un’orbita vicinissima alla nostra città. Di questo pianeta tutti pensano di sapere tutto esattamente come la Luna senza esserci mai stati. Perché chi ha avuto la ventura di andarci, appena fuori si vergogna e ne tace o, chi non se ne vergogna, s’ostina a considerarla una sventura da dimenticare».

Sono le parole della scrittrice Goliarda Sapienza sulla sua esperienza in carcere (non proprio da innocente), su cui ha scritto due libri: “L’università di Rebibbia” e “Le certezze del dubbio”. Una riflessione che si intreccia con le testimonianze raccolte nel docufilm sull’ingiusta detenzione, dove si illustra perfettamente la morte socio-civile del detenuto ma anche la sua possibile rinascita, creativa e umana, che inizia già da dietro le sbarre e continua fuori: chi perde clienti, chi la moglie, chi obiettivi lavorativi. Tutti ricominciano, con fatica, ma con una dignità, una forza e una tenerezza che – forse – se la vita non li avesse messi in questa situazione, non avrebbero mai avuto. Ed è lì che inizia il cammino, difficile, lento, ma possibile, per non voltarsi più indietro.

Edoardo Iacolucci

critico cinematografico

https://www.edoardoiacolucci.com

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