Novanta milioni di lire. È la somma che, secondo lo Stato, spetta come indennizzo per ingiusta detenzione dopo un anno in carcere. Questa, almeno, è stata la decisione della terza sezione penale della corte d’Appello di Firenze, chiamata a decidere sul ricorso presentato dall’avvocato Aldo Lo Piano in favore di M.M., 42 anni, abitante a Gallarate ma con alcune attività economiche nel Livornese che, dopo aver trascorso un anno in carcere (dal 10 giugno 1992 al 10 giugno 1993), è stato assolto con sentenza del Tribunale di Livorno (16 dicembre 1998) da tutti i reati dei quali era accusato.
I giudici hanno accolto l’istanza, concedendo però una cifra che appare davvero modesta, soprattutto se si pensa che lo “sfortunato” protagonista di questa vicenda giudiziaria ha subìto delle rilevanti perdite economiche e anche dei problemi psicofisici in conseguenza della carcerazione. E tutto questo perché M.M., nonostante sia stato riconosciuto estraneo da tutte le imputazione, avrebbe avuto la “colpa” di frequentare personaggi coinvolti nell’inchiesta (le indagini riguardavano un’associazione per delinquere, attiva nella provincia, finalizzata alla rapina, l’usura e l’estersione), fornendo così in pratica all’autorità giudiziaria la “ragione” di intervenire con l’adozione di misure di custodia cautelare.
L’uomo, infatti, era diventato socio di un ristorante del quale però non curava la gestione, avendo la sua principale attività a Gallarate: purtroppo per lui il locale era diventato la “base” dell’organizzazione criminale e così si era improvvisamente ritrovato nei guai. Solo il processo aveva permesso di scagionarlo da tutte le accuse. Ma i giudici hanno ritenuto “imprudente” il comportamento tenuto dall’imprenditore lombardo, tale da fare attirare su di sé le attenzioni degli inquirenti. E perciò, nonostante l’assoluzione con formula piena, l’ingiusta detenzione sarebbe stata causata, almeno in parte, dalla condotta “colposa” dello stesso danneggiato: una interpretazione che ha certamente influito sull’attribuzione della somma di denaro, più o meno al pari di un’altra circostanza ostativa dell’indennizzo come l’essersi avvalsi della facoltà di non rispondere.
È inoltre da aggiungere che se l’istanza avanzata dall’avvocato Lo Piano chiedeva un’equa riparazione per la custodia cautelare in carcere ingiustamente subita da M.M., la corte d’Appello ha invece stabilito che in questo caso l’istanza rientrava nella fattispecie dell’indennizzo e non in quello del risarcimento del danno, facendo proprio il parere espresso dall’Avvocatura dello Stato.
“L’esborso di denaro cui lo Stato è tenuto per ingiusta detenzione – si legge nelle motivazioni – si configura non come risarcimento del danno derivante da fatto illecito ad alcuno ascrivibile a titolo di dolo o colpa, pur in assenza di imputabilità, ma, sulla base della semplice oggettività della lesione, come misura riparatoria, riequilibratrice ed in parte compensatrice dell’ineliminabile componente di alea per la persona, propria della giurisdizione penale cautelare”. Nello stabilire l’entità dell’indennizzo per un anno di ingiusta detenzione, i giudici fiorentini hanno considerato “modeste” non solo le condizioni economiche di M.M. (titolare di un negozio di acconciature femminili) ma anche le conseguenze sociali e psicofisiche scaturite dalla privazione della libertà: ecco spiegato come si è giunti al rimborso (di competenza del ministero del Tesoro) di appena 90 milioni di lire.
(fonte: Il Tirreno, 28 dicembre 2000)