Malagiustizia. La strage degli innocenti

Dura lex sed lex? La legge è uguale per tutti? Magari. L’Italia è anche, e forse soprattutto – ahinoi -, il Paese dove un sito è nato con lo scopo preciso di aggiornare gli errori giudiziari (www.errorigiudiziari.com), dove l’archivio degli sbagli della giustizia conta ad oggi almeno ben 507 casi, dove si sfornano senza soluzione di continuità opere letterarie dedicate alla mala giustizia (“Cento volte ingiustizia”, di Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, Mursia Editore, “Presunti colpevoli” di Filippo Facci, Mondadori, ecc.). Si parla di riforma giudiziaria ormai dal 1992, dai tempi di Tangentopoli, ma da allora, e sono passati 20 anni, poco o nulla è stato fatto. E quasi mai si è sollevata una riflessione su una delle più attuali questioni: l’ingiusta detenzione.

 

UN PESO DA 46 MILIONI – Le statistiche confermano che in carcere finisce un gran numero di innocenti: la percentuale degli imputati assolti si aggira di media intorno al 40%. Un dato su tutti: si è formata una montagna di procedimenti per ingiusta detenzione o errore giudiziario, ben 2.369 ogni anno per un esborso pari a 46 milioni nel 2011. Ossia, una Finanziaria.

Come afferma il decano dei cronisti giudiziari, Roberto Martinelli, “alcuni giudici sbagliano in buona fede, altri meno. Alcuni perché non hanno strumenti adeguati e strutture idonee, altri perché si ritengono baciati dal dogma dell’infallibilità”. Una realtà che pertanto pesa sotto il profilo economico. Parola pure di Guardasigilli, messa nero su bianco dal ministro Paola Severino nella sua relazione sullo stato della Giustizia del gennaio scorso: 213 i milioni di risarcimento nel triennio 2004-2007; il risarcimento più alto, di 4,6 milioni, lo ha ottenuto Daniele Barillà, scambiato nel ’92 per un trafficante internazionale di droga per il semplice fatto che aveva un’auto e una targa molto simili a quelle di un narcotrafficante. Senza dimenticare che per il quinto anno consecutivo, abbiamo registrato il più alto numero di sentenze della Corte europea per i diritti dell’uomo rimaste inapplicate. E la lentezza dei processi aumenta il numero di errori giudiziari, ingiuste detenzioni, risarcimenti. Luciano Rapotez – una delle vittime più celebri – sostiene che dal giorno in cui è nata l’Italia repubblicana, gli innocenti perseguitati dalla giustizia sono stati oltre 4 milioni e mezzo. Rapotez fu accusato di aver assassinato un orefice, la sua amante e la cameriera. Diventò “il mostro di san Bartolomeo” e scontò tre anni di carcere. Verdetto finale? Assolto. Però il caso più eclatante è rimasto quello di Salvatore Gallo, condannato all’ergastolo per aver ucciso il fratello che si scoprì, dopo qualche anno, essere vivo e vegeto.

 

ECCO I POLITICI SBAGLIATI DIETRO LE SBARRE – Fra i tanti perseguitati presunti ci sono anche parecchi esponenti del mondo politico. E chi può davvero proclamarsi vittima di Tangentopoli è Serafino Generoso: fino al ’92 potente assessore democristiano della Regione Lombardia, è stato scagionato con formula piena dall’accusa di “tentata concussione” che, il 23 giugno 1993, aveva provocato il suo secondo arresto in appena sette mesi. E sapete chi era il pubblico ministero? Antonio Di Pietro. Ma certamente il caso più famoso è quello di Calogero Mannino: per essere completamente assolto l’ex ministro ha dovuto aspettare 14 anni. Per provare la sua innocenza dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa, ha dovuto produrre oltre 50 mila pagine di documenti. Ha trascorso 23 mesi di custodia cautelare, però, ed è il caso di dire la beffa oltre il danno, lo Stato ha ritenuto di respingere la sua richiesta di riparazione per ingiusta detenzione.

 

CARRIERE SPEZZATE – C’è poi un altro filone considerevole: i Vip. Vi ricordate Serena Grandi? L’attrice fu sottoposta agli arresti domiciliari per 5 mesi, nel 2003, perché coinvolta in un’inchiesta su un giro di droga e prostituzione. La sua posizione fu archiviata nel 2009. E ancora: Gioia Scola negli anni ’90 era un’attrice bellissima che cercava di farsi strada nel cinema e nella tv. Aveva interpretato la parte della bruna fatale in Yuppies 2. Però non aveva fatto i conti con i verbali di un pentito, Mario Fienga, che aveva raccontato ai pm di Napoli storie di camorra e di cocaina. «Mi arrestarono – racconta oggi lei – il 7 giugno ’95. Mi contestavano addirittura di essere la mente di un traffico internazionale di stupefacenti fra il Brasile e l’Italia». Di vero in tutta questa costruzione c’era solo un elemento. Gioia era stata davvero a Rio de Janeiro, nel ’92, per un intervento di chirurgia estetica nella celeberrima clinica di Ivo Pitanguy, e lì aveva avuto un fugace flirt con Vincenzo Buondonno, poi ammanettato perché considerato un trafficante di rango. Altro non c’era. E sempre negli anni ’90 era scoppiata la vicenda cosiddetta “merolone” che aveva travolto diversi nomi della tv, tra cui il presentatore Gigi Sabani: con l’accusa di induzione alla prostituzione nei confronti di Raffaella Zardo e Patrizia De Angelis finì anche agli arresti domiciliari per 13 giorni.

Prosciolto il 18 febbraio del ’98, la Corte d’Appello di Roma ha stabilito a suo favore 24 milioni di risarcimento. Il nome di Leonardo Vecchiet forse a molti non dice nulla, in realtà lo nominarono pure Grand’Ufficiale della Repubblica. D’altronde, il Mundial spagnolo dell’82 valeva quell’onorificenza. E Vecchiet, una vita al servizio della medicina sportiva, passò alla storia quasi come uno stregone. Tutta colpa della carnetina che in Spagna fece volare gli eroi di Enzo Bearzot. Ma proprio la carnetina, da benedetta si trasformò, dodici anni dopo, in maledetta: l’8 aprile del 1994 il professore fu arrestato a Napoli, accusato da Duillio Poggiolini, il re Mida della sanità, di aver intascato una tangente da 50 milioni di lire dal presidente della Sigma-Tau per favorire il prodotto “Carnetina”. Ma Vecchiet a quasi dieci anni di distanza ha potuto urlare tutta la sua soddisfazione: “perché il fatto non sussiste”. E naturalmente non si può dimenticare in questa carrellata il caso di Enzo Tortora: un orrore, per dirla con le sue stesse parole. Accusato da un pentito di spacciare droga, senza un riscontro, senza una prova, da incensurato lo arrestarono dinanzi ad una folla di fotoreporter, cineoperatori e giornalisti, vergognosamente avvertiti. Da quel giorno iniziò il suo calvario, e il risultato fu, nonostante l’assoluzione finale, la morte.

 

TANTI I CITTADINI DENTRO PER SBAGLIO – Ma il filone degli obbrobri giudiziari più nutrito è proprio quello che coinvolge noi cittadini ‘normali’. Pensate come esempio su tutti a tre anni e otto mesi in carcere per quattro rapine mai commesse. Anni che Angelo Cirri avrebbe potuto vivere da uomo libero, anche perché la prova della sua estraneità saltò fuori già due mesi dopo l’arresto. Ma il suo caso si trasformò in un’odissea giudiziaria incredibile. Data d’inizio il 9 aprile del 2004. Quella notte le forze dell’ordine fecero irruzione a casa di Cirri convinti di aver inchiodato l’autore di 13 rapine nella zona di Grottaferrata. A incastrare Cirri c’era il racconto di una delle presunte vittime. Un dettaglio però non tornava: il rapinatore, stando alla testimone, una donna, parlava campano e Cirri era romano. Ma gli investigatori dissero che si trattava di un particolare insignificante, perché l’accento si poteva mascherare. E Cirri fu messo nei guai in particolare da una coincidenza. L’accusatrice ricordava che il rapinatore, prima di derubarla, aveva spento una sigaretta della stessa marca che fumava Cirri. Così scattò il fermo. Due mesi dopo i risultati del Dna sul mozzicone furono clamorosi: il codice genetico sulla sigaretta non era compatibile con quello dell’uomo in carcere, era stata fumata da qualcun altro. Cirri, nonostante un elemento così robusto, fu comunque nel 2005 condannato a 13 anni di reclusione. Poi, ecco il 3 ottobre 2008. Quel giorno viene arrestato Antonio Di Pasquale, accusato (eppoi prosciolto) di aver ucciso una guardia giurata per rapina. Gli viene fatto il test del Dna e si arriva alla verità: Di Pasquale è il vero colpevole delle rapine attribuite a Cirri. Il quale, il 3 novembre del 2008, dopo essere stato in cella tre anni e otto mesi, torna libero. E finalmente riabilitato.

 

L’ESEMPIO A STELLE E STRISCE – L’America, come si sa, spesso e volentieri anticipa i tempi. E lo ha ribadito sul tema degli errori giudiziari. Negli Stati Uniti difatti è stato istituito il Registro Nazionale degli Esonerati, www.exonerationregistry.org, un sito che raccoglie l’elenco delle persone condannate da un tribunale e che sono riuscite ad ottenere l’annullamento dei loro verdetti di colpevolezza. Dunque, una sorta di albo degli innocenti. Che da noi Luca Paolini, deputato della Lega, come ha scritto in una proposta di legge, vuole copiare. Giustamente…

 

(fonte: Alberto Ciapparoni, Il Punto, luglio 2012)