Piemonte e Valle d'Aosta: risarcite 78 persone in cella senza motivo

Sergio Rosso, professione manager, aveva chiesto 371 mila euro di risarcimento per «ingiusta detenzione» per 9 giorni in carcere e 17 di arresti domiciliari. La Corte d’appello gliene ha riconosciuti 15 mila. Francesco Santoro, medico di base, si sarebbe accontentato di 175 mila per tre giorni e due notti in gattabuia e 48 a casa senza poterne uscire.

I giudici della quarta sezione che deve valutare i danni patiti da chi, dopo essere passato per la galera, è stato poi assolto gliene ha accordati 12 mila. Sono fra i 70 e gli 80 gli ex detenuti, una parte dei quali per poco, pochissimo tempo, che ogni anno in Piemonte e Valle d’Aosta chiedono di essere risarciti dal ministero del Tesoro.

In base ai grandi numeri dei procedimenti penali aperti nel nostro distretto di Corte d’appello – migliaia con il ricorso a misure di custodia cautelare – 78 ricorsi per «ingiusta detenzione» nel 2010, stesso numero l’anno precedente e 68 nel 2008 rappresentano un indicatore positivo del sistema giudiziario. Lento e inefficace quanto si vuole, ma almeno prudente. Salvo eccezioni. Merito in primo luogo dei giudici per le indagini preliminari. Se, però, non consideriamo gli arresti per reati minori, fra cui la «Bossi-Fini», l’incidenza delle «ingiuste detenzioni» appare un po’ meno irrilevante.

Anche se, va rimarcato, i giudici bocciano poco più della metà delle pretese di risarcimento. Un giorno di carcere ingiusto vale 235,82 euro, la metà se trascorso agli arresti domiciliari. E c’è un tetto massimo risarcibile: 516.456,90 euro. Equivalente al vecchio miliardo di lire. Anche il riesame dei casi insegna qualcosa. In quello di Lucy Graciela Vega, peruviana di 35 anni, di professione badante, i giudici hanno rilevato come un più attento ascolto delle intercettazioni precedenti al suo arresto ne avrebbe chiarito la buonafede.

La donna fu arrestata alla Malpensa di ritorno dal Perù con 3,122 grammi di cocaina nascosti in due quadri che portava con sé. Le telefonate intercontinentali fra lei e il connazionale con cui in quel periodo aveva una relazione chiarirono che la signora Vega era stata strumento inconsapevole del piccolo traffico di droga fra l’uomo e un terzo peruviano. Lucy rimase in cella 4 giorni e 133 agli arresti domiciliari. I giudici le hanno accordato un risarcimento di 25 mila euro rispetto ai 42.501 richiesti. Sono comunque più del doppio di quanto ha ottenuto il dottor Santoro. Finì in cella nel 2003 accusato di concorso nella truffa del titolare dell’allora farmacia della Consolata che si faceva rimborsare dall’Asl quantità industriali di farmaci salvavita: venivano prescritti in proporzioni incompatibili con i piani terapeutici, in quel caso di un paziente emofiliaco.

Il medico riuscì a dimostrare che le ricette erano predisposte dalla segretaria, sorella del titolare della farmacia dopo che lui le aveva firmate in bianco. Archiviato. E risarcibile, anche per danni morali e biologici, ma i giudici ne hanno censurato la negligenza: risarcimento ridotto. Quello più alto, fra gli ultimi casi esaminati, l’ha ricevuto un filippino, Innocencio Mercado, 265 giorni di carcere e soprattutto arresti domiciliari alle spalle per essere stato accusato di concorso in un omicidio nel Biellese.

A farlo arrestare contribuirono alcune testimonianze un po’ troppo frettolose e per questo motivo lo Stato dovrà risarcirlo con 70 mila euro. Ne aveva chiesti 387 mila. C’è anche chi si accontenta dell’affermazione di principio. Come il legale di Sergio Rosso, il professionista che chiedeva 371 mila euro per essere stato coinvolto ingiustamente in una truffa per i rimborsi regionali agli alluvionati. L’avvocato Roberto Trinchero dice: «Il riconoscimento di un risarcimento è molto importante per il mio cliente sia sotto il profilo morale sia per la sua immagine».

(fonte: Alberto Gaino, La Stampa, 24 aprile 2011)