Siamo abituati a considerare gli errori giudiziari sempre dalle solite prospettive: quella della vittima, costretta al carcere o agli arresti domiciliari senza colpa. Oppure quella dell’avvocato, impegnato a dimostrare l’estraneità del suo assistito ai fatti che gli vengono ingiustamente addebitati. Mai o quasi mai ci si pone una domanda in realtà facile facile: cosa provano i familiari di un innocente arrestato? Ecco, “Non vergognatevi di me” è proprio questo: una delle rare opportunità per capire come un figlio poco più che ventenne può vivere l’esperienza trumatica di un padre portato via da due agenti all’alba.
Antonio Chieffallo è il figlio di Leopoldo Chieffallo, leader del Psi calabrese negli anni 90, già presidente della Provincia di Catanzaro, assessore regionale nonché storico sindaco di un piccolo paese come San Mango D’Aquino. Quando due agenti in borghese portarono via il padre era l’alba del 20 dicembre. Lui non si accorse di nulla perché dormiva ancora.
“Non vergognatevi di me” è una sorta di diario che consente di rivivere in prima persona cosa volle dire quel furore giustizialista che caratterizzò Tangentopoli, con la sua gogna mediatica, con gli arresti eccellenti spesso fuori luogo, con l’opinione pubblica capace di scatenare i più beceri istinti colpevolisti anche solo per il fatto di frequentare questo o quel politico dell’epoca.
Già il titolo descrive, con la sua potenza, la sensazione che domina tutto il libro. È la frase che il padre scrisse su un foglio di quaderno a righe quattro giorni dopo l’arresto e chiese a un agente penitenziario di recapitare ai figli. Quest’ultimo, rischiando in prima persona, si recò a casa Chieffallo personalmente: “Vi prego di non farne parola, sto rischiando, ma non me la sono sentita di dire no”. Poi, poco prima di andar via, un’ultima frase: “Stia tranquillo, (suo padre) sta bene”.
Quando Antonio aprì quel foglio, che era piegato in due, lesse queste poche parole:
“Non vergognatevi di me. Sono innocente. Papà”