Lelio Luttazzi Walter Chiari

«Mio marito Lelio Luttazzi, innocente in carcere senza che nessun giudice abbia mai pagato»

Questa che segue è una lettera scritta da Rosanna Luttazzi, moglie del grande Lelio Luttazzi, al direttore del quotidiano Il Giornale.

Egregio direttore, da qualche giorno leggiamo sulle prime pagine dei quotidiani e ascoltiamo nelle varie edizioni dei telegiornali nomi e cognomi di persone coinvolte con accuse pesantissime in casi di corruzione. «Testimoni chiave» che riempiono pagine e pagine di verbali, che, grazie alle loro testimonianze, raccontano, citano fatti, e quello ha detto, e quello ha telefonato, e quello ha chiesto somme, quell’altro ha chiesto favori, e la stampa spara nel mucchio. Non parliamo poi dei tanti talk-show ai quali partecipano con solerzia giornalisti di tutte le razze. Anche se non viene configurato né ipotizzato alcun reato, giù a fare nomi, accuse, insinuazioni, spesso con arroganza e presunzione. Non occorre essere indagati, il che non giustificherebbe comunque l’essere «sbattuti in prima pagina», ma è sufficiente che il tuo nome sia citato nei verbali di tutti questi signori e signore che tanto hanno da raccontare, per non parlare poi delle intercettazioni telefoniche, per «venire sputtanati».

E veniamo ai giudici. Finalmente la Camera dice sì alla responsabilità civile delle toghe. Era ora! Ma la votazione causa polemiche e preoccupazioni. L’Anm è sul piede di guerra e il vicepresidente del Csm pure: «È in gioco l’indipendenza di giudizio del magistrato, esporlo a un’azione diretta di responsabilità metterebbe a repentaglio il suo libero convincimento e produrrebbe un numero indefinito di processi su processi». Ma pensa!

Da sempre, invece, i magistrati, seguendo il «loro libero convincimento», hanno coinvolto e continuano a coinvolgere nelle loro inchieste persone risultate poi innocenti. E che sarà mai! È giusto così? Secondo me non è affatto giusto così, è semplicemente vergognoso.

E posso dirlo con convinzione di causa. Sono trascorsi ben quarantaquattro anni da quando sbatterono «il mostro in prima pagina». Quel «mostro» era mio marito: Lelio Luttazzi. Un semplice errore di un magistrato, ma quell’ERRORE rovinò la vita di Lelio. Preso e sbattuto a Regina Coeli in cella d’isolamento in compagnia del «buiolo» senza sapere il perché… Sì, perché allora un pubblico ministero poteva decidere se e quando farti incontrare il tuo avvocato. A Lelio, bontà loro, lo permisero dopo quindici giorni.

Lo scrittore Giuseppe Berto nella prefazione del libro «Operazione Montecristo» (libro scritto in galera da Lelio Luttazzi durante quei 27 giorni d’inferno) scrive: «Noi siamo esposti alle offese di coloro che dovrebbero tutelarci dalle offese. È una generalizzazione necessaria, perché di pubblici ministeri come il tuo in Italia ce ne sono a centinaia. Su certe questioni noi siamo abituati a ragionare con le lettere maiuscole. Diciamo lo Stato, la Giustizia, la Magistratura. Lo facciamo per viltà, perché è faticoso rinunciare alla protezione degli dei, costatare che le Istituzioni più sacre – così si dicevaun tempo – sono fatte da uomini che molto spesso sono peggiori di noi. Ma la questione di fondo rimane, ed è questa: due uomini che fanno lo stesso mestiere, usando gli stessi strumenti messi a loro disposizione dal sistema e valutando gli stessi elementi, ti trovano uno delinquente pericoloso meritevole di almeno tre anni di galera, e l’altro assolutamente innocente. È possibile lasciare un così largo margine di potere ad uomini che possono sbagliare? È possibile che i nostri legislatori non abbiano ancora capito la necessità di garantire l’indiziato?

Ecco, non ho altro da dire. Auguro al tuo libro un grande successo, vorrei che tu avessi lettori a migliaia e che tutti, alla fine, arrivassero a pensare “giustizia” con l’iniziale minuscola».

Era il 1970! Quarantaquattro anni fa! Lelio Luttazzi trascorse anni a querelare, a fare cause civili (mai una persa), poche lire per carità, ma immense soddisfazioni. Perché? Perché i giornalisti scrivendo di Lelio, non perde vano mai l’occasione di ritirare fuori quella faccenda e scriverne sempre in modo errato, con superficialità, senza documentarsi mai abbastanza.

Lelio mi ha lasciata nel 2010. Ho continuato io al posto suo a fare cause: l’ultima vinta qualche mese fa.

 

Rossana Luttazzi

(fonte: Il Giornale, 14 giugno 2014)

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