I magistrati? Piangono, strillano. E ottengono

“Il pianto frutta”: nessuno meglio dei magistrati italiani sa mettere in pratica questo antico modo di dire della saggezza popolare. Frignano per poi piangere fino a singhiozzare perché con la legge appena approvata sulla responsabilità civile, le toghe nostrane ritengono di non essere più indipendenti, di essere sottoposte a continui ricatti e costrette ad autocontenersi per il timore di essere chiamate in causa.

 

La verità è che hanno ottenuto il massimo che potevano dopo 28 anni di tradimento del voto popolare espresso a grandissima maggioranza nel referendum promosso dai radicali e dopo che, nel 2011, la Corte di Giustizia Europea aveva condannato l’Italia per i limiti posti alla responsabilità civile dei giudici nell’applicazione del diritto europeo.

 

Oggi al Governo e in Parlamento sono tutti protesi a rassicurare i magistrati che strillano e battono i piedi minacciando sfracelli. Da una parte il Parlamento è arrivato ad appiccicare alla legge una relazione d’accompagnamento in cui si spiega che per “negligenza inescusabile” si intende un travisamento “macroscopico ed evidente” dei fatti; dall’altra il Governo che, con il ministro della Giustizia, s’inventa il “tagliando”, affermando di essere pronto a cambiare la legge entro sei mesi se ci saranno abusi. Ma quali abusi si possono temere se saranno giudici a giudicare altri giudici?

 

In realtà, già quando fu promosso quel referendum, insieme al compianto Enzo Tortora, i radicali avevano ammonito che occorreva urgentemente affrontare le questioni della separazione delle carriere, degli incarichi extragiudiziari, dei distacchi dei magistrati nell’amministrazione pubblica, dell’automaticità delle carriere, del principio (falso perché impossibile da attuare) dell’obbligatorietà dell’azione penale, della correntocrazia nel Csm, insomma, una riforma organica della Giustizia che affermasse concretamente la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Oggi, con oltre cento magistrati distaccati presso gli uffici legislativi dei ministeri, c’è poco da stare tranquilli: c’è sempre una manina pronta a pinzare alle leggi l’interpretazione autentica, oppure un’intimidazione per la quale l’esecutivo si ritiene costretto a promettere revisioni nel caso in cui gli effetti delle leggi non assicurino, come è stato fino ad oggi, l’impunità delle toghe, i loro privilegi, le loro carriere.

 

Grande assente da questo film – e ho motivo di dubitare che entrerà in scena – è l’illegalità palese dell’amministrazione della Giustizia che colpisce, come denunciava il Commissario per i diritti umani Alvaro Gil-Robles 10 anni fa, il 30 per cento della popolazione italiana per tempi irragionevoli trascorsi in attesa di una decisione giudiziaria, in violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; Convenzione che, secondo il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa viene sistematicamente violata dall’Italia fin dal 1980.

 

Noi che la lotta per la responsabilità civile dei magistrati l’abbiamo per anni fatta-vissuta-vinta assieme ad Enzo Tortora con il calvario che quest’uomo perbene ha dovuto subire, siamo raggiunti da un’infinita tristezza quando vediamo che Renzi twitta esultante la foto di Tortora e tutti i media lo ritwittano raggianti. Quando nell’83 abbiamo sposato la causa di Tortora l’abbiamo fatto contro tutto e tutti perché era unanime il coro che definiva Enzo un camorrista, “cinico mercante di morte”. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se oggi – pressoché isolati – Marco Pannella e i radicali fanno proprio, nell’impegno politico quotidiano, il messaggio che il Presidente Emerito Napolitano ha inviato al Parlamento nell’ottobre del 2013 sulle infami carceri e sulla débâcle della giustizia italiana: non siamo bizzarri oggi, così come non lo eravamo più trent’anni fa al fianco di Enzo Tortora.

 

Mi auguro che questa volta ci si aiuti ad aiutare il Paese e coloro che abitano il nostro territorio a non subire per troppo tempo ancora le conseguenze di una democrazia perennemente tradita nei suoi connotati costituzionali.

 

Rita Bernardini

 

(fonte: Il Tempo, 27 febbraio 2015)