Perché la toga che sbaglia non paga mai?

Nei giorni scorsi mi hanno colpito tre storie che hanno a che fare con la giustizia, o, meglio, con le procure. Il primo è un fatto di cronaca che in passato ha riempito le pagine dei giornali, ma i cui sviluppi l’altro ieri sono stati liquidati in poche righe, e in qualche caso del tutto ignorati. È la vicenda di Filippo Pappalardi, il padre dei fratelli di Gravina, Ciccio e Tore, morti in fondo a un pozzo. Sospettato per quasi 2 anni di averli fatti sparire e poi incarcerato per 3 mesi con l’accusa di averli assassinati, Pappalardi non doveva essere arrestato. Una sentenza della Cassazione ha stabilito che non c’erano né prova né movente, ma solo sospetti.

Il papà di Francesco e Salvatore ha annunciato che farà domanda per ottenere un risarcimento per l’ingiusta detenzione. Io invece mi sono chiesto: il pm che ha arrestato Pappalardi, e che lo ha trattenuto in prigione anche quando si capì che i fratellini erano caduti nel pozzo, continuerà a fare il magistrato?

L’altro caso è quello della Santa Rita, la cosiddetta “clinica degli orrori”. Il tribunale del riesame ha stabilito che, allo stato attuale, non c’è prova che dimostri che in quella casa di cura si uccidessero i malati. Probabilmente sono stati fatti interventi chirurgici non necessari, quasi certamente sono state gonfiate le fatture per incassare di più, ma fra operazioni e decessi non c’è correlazione.

La procura di Milano, che si è vista bocciare l’ordine di custodia cautelare per omicidio volontario, ha annunciato che disporrà una perizia per provare l’accusa. Senza in alcun modo voler sostenere che i medici arrestati siano degli stinchi di santo, mi chiedo: ma visto che l’inchiesta sulla Santa Rita era in corso da oltre un anno, i procuratori non potevano ordinare la consulenza prima di arrestare gli indagati?

Terzo episodio: il caso Emanuela Orlandi. La ragazzina romana scomparsa 25 anni fa sarebbe stata rapita dalla banda della Magliana, un clan criminale che operava nella capitale negli anni Ottanta. Il sequestro sarebbe stato compiuto per fare un favore al vescovo Paul Marcinkus, presidente dello Ior, che intendeva dare un segnale alle alte sfere ecclesiastiche, o per ricattare il padre di Emanuela, commesso in Vaticano, che aveva visto qualche documento di troppo.

Secondo l’amante del boss della Magliana, una donna tossicodipendente che si è ricordata di tutto ciò solo ora, la quindicenne alla fine fu uccisa e fatta sparire in una betoniera. La testimonianza, confusa e un po’ fantasiosa, cozza con una serie di date che non tornano, ma, stranamente, dopo essere stata raccolta dalla procura e prima ancora di essere verificata, è finita sui giornali, con tanto di accuse a vivi e morti. Mi domando: qualcuno pagherà per questa fuga di notizie?

Conclusione: temo che troppe volte i magistrati si innamorino delle proprie teorie. Invece di cercare le prove di colpevolezza o di innocenza di un indagato, succede che molti cerchino solo di sorreggere un teorema di cui si sono convinti nonostante i ragionevoli dubbi.

Forse qualcuno si sarà stupito leggendo il sondaggio della Repubblica, secondo il quale solo il 35 per cento degli italiani ha fiducia nella giustizia. Probabilmente gli stessi lettori del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari si saranno sorpresi apprendendo che gli italiani non condividono gli allarmi del Fondatore in materia di giustizia, ma sono in maggioranza d’accordo con i provvedimenti auspicati da Silvio Berlusconi. Forse chi si meraviglia non ha mai messo piede in un tribunale

Maurizio Belpietro

(fonte: Panorama , 27 giugno 2008)