La Sicilia e i risarcimenti milionari per gli errori giudiziari

 

 

“Mi è mancato fare con lui le cose che fanno i padri con un figlio piccino”. Le parole di Giuseppe Gulotta, che non ha potuto veder crescere il figlio William perché era incarcerato per un crimine che non aveva commesso, risuonavano nello studio di “Quello che (non) ho”, il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano su La7, un anno fa.
26 anni sono passati tra il suo arresto e la sua scarcerazione, 22 ne ha trascorsi in carcere a causa di una confessione falsa, estorta con la tortura per trovare il capro espiatorio dell’odioso assassinio di due carabinieri ad Alcamo Marina nel 1976. “Tenuto conto della durata della grave vicenda e del periodo di detenzione patito, il danno complessivo è enorme”, ha dichiarato poche settimane fa l’avvocato Pardo Cellini, presentando una richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione da 69 milioni di euro.

 

È un caso isolato? Purtroppo no. Ogni anno, solo in Sicilia il ministero dell’Economia e delle finanze deve liquidare una media di 6,3 milioni di euro per riparare agli errori giudiziari che portano dietro le sbarre degli innocenti. E anche il numero non è indifferente: 192 casi l’anno, per un totale di oltre 32 mila euro da pagare ad ognuno di loro per un periodo di vita rubato e rinchiuso in una cella. Il caso Gulotta, se alla fine la magistratura riterrà opportuno accordargli il risarcimento richiesto, ritoccherebbe al rialzo queste medie già altissime.

 

In Sicilia, comunque, nell’ultimo anno il dato ha subito una flessione rispetto al passato: oltre 6,5 milioni di euro liquidati, 184 casi per quasi 34 mila euro l’uno di media. Le corti d’appello di Catania e Palermo si dividono il maggior numero di casi liquidati: 70 ciascuno, la maggior parte dei quali nel secondo semestre dell’anno. Il ministero ha dovuto erogare dei risarcimenti più alti per i casi del capoluogo regionale (oltre 38 mila euro a cittadino ingiustamente detenuto). È Caltanissetta, tuttavia, quella che presenta la media più alta a caso: 49,5 mila euro per i 23 ordini risolti. Dal 2005 a oggi, gli oltre 1.500 ricorsi vinti in Sicilia sono costati oltre 50 milioni di euro. Il 2007 è stato l’anno in cui si è avuto il minor numero di importi liquidati (118 per 3 milioni), è del 2005 il picco più alto (270 per 8,2 milioni). Negli ultimi anni, dopo una stabilizzazione nei dati sui 7 milioni, si è avuto un certo calo.

 

I casi siciliani rappresentano, più o meno, il 15 per cento del dato nazionale. Il ministero della Giustizia, tuttavia, durante lo scorso anno ha tentato di arginare il fenomeno: una delle tre direttive per l’attività ispettiva del dicastero retto da Paola Severino ha riguardato “rilevazioni e verifiche di anomalie rilevanti in tema di ritardi nelle scarcerazioni e in tema in genere di ingiuste detenzioni”, come recita la relazione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013. I risultati di queste ispezioni sono ora tutti da verificare.

 

Forse qualche indicazione arriverà anche dal neonato osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione (coordinato dall’associazione Antigone e finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del Criminal Justice Programme), che vuole trovare un modo per rendere omogenee in Europa le condizioni dei detenuti, partendo dall’analisi di otto Paesi, tra cui l’Italia. Tra i primi dati divulgati, c’è quello sulla custodia cautelare: rappresenta il motivo della carcerazione del 40 per cento dei detenuti italiani, contro il 25 per cento della media europea. In questa media possono annidarsi anche possibili detenzioni ingiuste o illegittime e nella recente campagna elettorale, anche se a sprazzi, si è parlato dell’opportunità dell’uso di questa misura.

 

Il problema politico è forte, anche perché raramente si è preso in considerazione l’argomento, centrando più la discussione per farne un attacco alla magistratura in generale, più che per trovare soluzioni concrete. Le quali, in realtà, dovrebbero puntare a migliorare l’efficienza dell’intero sistema: dalle indagini, al ruolo degli avvocati difensori a quello dei giudici.
La situazione delle carceri italiane è finita a gennaio sotto la lente della Corte europea dei diritti dell’uomo (Echr), che ha condannato l’Italia a risarcire sette detenuti per aver violato l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
“La Corte – scrivono i giudici presieduti da Danut? Jo?ien? nella sentenza – ritiene che i ricorrenti non abbiano beneficiato di uno spazio vitale conforme ai criteri da essa ritenuti accettabili”. Pertanto “vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione” e i richiedenti dovranno essere rimborsati.
Le bacchettate dall’Europa sono proseguite poi con il rapporto annuale 2012 dell’Echr, che piazza l’Italia tra i tre Paesi con più ricorsi pendenti, anche se per la prima volta dal 2008 il numero è diminuito di cento unità.

 

“I dati sulla ingiusta detenzione – ci spiega Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti in Sicilia – confermano la grave crisi in cui versa il sistema giudiziario italiano e a poco vale il lieve ridimensionamento del fenomeno, che è possibile registrare dalle cifre in gioco”.
Il Garante allarga il discorso su tutto il sistema carcerario italiano, carente e sempre più soggetto a tagli. “In realtà il problema più allarmante riguarda la condizione generale delle carceri italiane per la quale il nostro Paese continua ad essere condannato. I due fenomeni si interconnettono se si guarda alle cifre riguardanti i reclusi che restano in cella meno di tre giorni, circa 21.000, che probabilmente avrebbero potuto evitarsi la detenzione ed evitarci, come cittadini, il relativo costo: 21.000 detenuti per 3 giorni di cella ciascuno rappresentano 63.000 giorni di carcere, che moltiplicati per una cifra media di 130 euro provocano 8.190.000 euro di spesa pubblica che si sarebbe potuta risparmiare, magari investendola in attività rieducative, ormai del tutto trascurate”.
“La verità – conclude Fleres – è che il sistema penale e dell’esecuzione penale dovrebbe interamente essere riformato e riallineato al dettato costituzionale, in atto del tutto e illegalmente disatteso, al di là delle belle parole e delle ipocrite commozioni istituzionali”.
Eppure, in campagna elettorale, l’argomento-carceri non è stato tra i più popolari, anzi. Una voce forte è arrivata dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quando ha visitato il carcere di San Vittore, a Milano a inizio febbraio, dichiarandosi anche favorevole a firmare (“anche dieci volte”) per un’amnistia: “La mancata attuazione delle regole penitenziarie europee conferma la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell’articolo 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità”.

 

(fonte: Roberto Quartarone, Quotidiano di Sicilia, 6 marzo 2013)