L'avvocato Gabriele Magno
È una storia di fantasia, anche se seguita da sette vere, raccontate dai diretti protagonisti. Ma «Prigioniero della mia libertà» (Editori internazionali riuniti), che è abbinato all’omonimo film, è molto più di un romanzo. Perché il verosimile spesso è più vero del vero. E perché il libro di Gabriele Magno, fondatore dell’Associazione nazionale vittime degli errori giudiziari, e Luisa Badolato, mette il dito su una piaga dolorosa del nostro Paese. Un «difetto» di giudizio che ha mandato in carcere innocenti dall’89 a oggi circa 50 mila italiani, tra i quali nomi noti, come Enzo Tortora, tanto per citare uno dei casi più eclatanti.
Di che parla il libro, avvocato Magno?
«Di un errore giudiziario. Un caso di fantasia accompagnato da sette storie autentiche raccontate da altrettante persone iscritte alla mia associazione».
Quanti sono gli errori giudiziari e che relazione c’è con il sovraffollamento carcerario?
«Ogni anno vengono riconosciute dai tribunali, con l’assoluzione, circa 2500 ingiuste detenzioni frutto in parte di errori giudiziari. Ma solo un terzo, circa 800 vengono risarcite. Spesso, infatti, anche se riconosciuto innocente, l’ex detenuto viene considerato responsabile, per colpa grave o dolo, di aver indotto la pubblica accusa a ritenerlo colpevole. Un’altra causa delle celle strapiene è la lentezza dei processi, poiché molti detenuti sono in attesa di giudizio. Qualche mese fa il 40 per cento aspettava il primo grado. La lentezza dei processi è direttamente proporzionale al sovraffollamento».
Qual è la durata media di un processo penale?
«Nelle tre fasi, circa quindici anni».
Anche questi ritardi vengono risarciti?
«Sì la legge Pinto prevede un indennizzo per la non ragionevole durata del processo, che va da 500 a 1500 euro per ogni 12 mesi di ritardo dopo il sesto anno».
Che fare per risolvere il problema o alleviare anche solo in parte la situazione?
«Le indagini difensive hanno colmato spesso alcune lacune investigative. Le perizie tecniche pure sono state e sono importanti. E poi c’è la questione della responsabilità civile dei giudici, una vergogna italiana…».
I magistrati non pagano mai…
«Esatto. Quasi mai viene riconosciuta la colpa grave o il dolo del magistrato, che viene giudicato da altri magistrati. E, quindi, chi sbaglia non paga. L’indennizzo diretto potrebbe, però, spingere a non affrontare il rischio del giudizio. Noi, ad esempio, proponiamo di cancellare il termine dei due anni entro i quali si può chiedere il risarcimento per ingiusta detenzione. E di sostituirlo con le parole: in ogni tempo».
(fonte: Maurizio Gallo, Il Tempo, 29 maggio 2014)