La Corte d'appello di Brescia
«Oltre ogni ragionevole dubbio». È il principio alla base del sistema giudiziario italiano, in caso di dubbio non è ammissibile una condanna. Perché spesso gli indizi che fanno finire una persona in prigione di fronte ai giudici non sono sufficienti e allora i togati non possono che assolvere. E a questo punto chi ritiene di essere stato ingiustamente detenuto può chiedere di essere risarcito per il danno subito, per il danno economico e anche per quello morale. E lo Stato, se la richiesta sarà ammessa, risarcirà l’ex detenuto, la persona tenuta in prigione per errore. Negli ultimi 20 anni lo Stato ha risarcito circa 600 milioni di euro per «errori giudiziari».
E Brescia ha fatto la sua parte. Negli ultimi undici anni, dal 2004, fino al 18 novembre scorso, la corte d’appello di Brescia ha dato parere favorevole a 360 procedimenti sull’intero distretto giudiziario (oltre a Brescia, anche Cremona, Bergamo e Mantova). Mediamente ogni anno sono una trentina gli ex detenuti che ottengono il risarcimento. Le cifre, ovviamente, variano parecchio da anno a anno, dipende da quanti sono stati i procedimenti accolti e da quanto è durata l’ingiusta detenzione. È chiaro che più la detenzione è lunga e più cresce il conto per lo Stato.
L’anno peggiore per Roma, guardando i dati della Corte d’appello di Brescia, è stato il 2011 quando lo stato ha dovuto saldare ben 41 persone per una somma totale superiore al milione di euro. Anche il 2013 è un anno «nero» per lo Stato: 333 mila euro per 33 errori giudiziari. Complessivamente negli ultimi undici anni lo Stato ha saldato errori giudiziari bresciani per più di tre milioni di euro, 3.420.057 euro per la precisione. La riparazione pecuniaria per ingiusta detenzione è stata introdotta con il nuovo codice di procedura penale ed è regolamentata dagli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale. La custodia cautelare in carcere, come recita la normativa, è considerata ingiusta quando l’imputato viene prosciolto con sentenza di assoluzione irrevocabile, quindi è giudicato innocente per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato e perché il fatto come reato non è previsto dalla legge. Chi ha subito ingiusta detenzione vanta a questo punto il diritto di ottenere «un’equa riparazione».
La richiesta va presentata alla Corte d’Appello competente, che prende una decisione in camera di consiglio. La normativa ha fissato anche un tetto massimo: l’ex detenuto non può essere risarcito con una cifra superiore a 516.456,90 euro. Ci sono casi in cui la cifra versata dallo Stato non si allontana di molto dal tetto massimo, ma mediamente i risarcimenti sono ben al di sotto dei diecimila euro, se si considera che nel 2004 con 30 risarcimenti lo Stato ha versato 141.506 euro, 145 mila nel 2005 per 33 risarcimenti. I detenuti, come conferma Stefania Amato, presidente delle Camere penali di Brescia, sono informati su questa normativa e spesso non hanno bisogno dei consigli del proprio legale, ma vengono aggiornati dai compagni di cella. «L’interpretazione della norma – precisa Amato – è piuttosto restrittiva perché la riparazione non è concessa se il detenuto si è avvalso della facoltà di non rispondere, il suo diritto a stare in silenzio viene considerato una sorta di concorso alla detenzione».
(fonte: Wilma Petenzi, Corriere della sera – Brescia, 29 novembre 2014)