Innocenza non appellabile

Quando di un cittadino è riconosciuta l’innocenza, lo Stato gli tolga le mani di dosso e lo lasci in pace. Da tempo sostengo l’opportunità di rendere inappellabili le assoluzioni. Ora giunge un nuovo fatto, una storia di cui i commentatori blasonati, pigri e conformisti, non hanno capito il significato. Credono sia solo cronaca, ed invece dentro c’è molto di più.

La storia è quella di Giuseppe Lastella, in carcere da undici anni, poi riconosciuto innocente. Un errore giudiziario, certo, e non esiste modo di eliminarli, gli errori. Ma un errore che è insito nel sistema, nella logica che oggi domina la giustizia, e, per accorgersene, basta conoscere i fatti. Si tratta di un omicidio, avvenuto nel 1990. Lastella fu arrestato, rinviato a giudizio e portato davanti al tribunale di primo grado, che lo assolve (e qui, secondo me, dovrebbe finire la storia). Il pubblico ministero ricorre, ed in secondo grado l’accusato è condannato, ma la cassazione annullerà quel verdetto. Si rifà il secondo grado, arriva la condanna a trenta anni di carcere, la cassazione conferma.

Ma Lastella è innocente, ed a credergli è la donna che lo ama. È lei a mettersi a fare l’investigatrice, scoprendo che i due presunti complici sono pronti a testimoniare che il condannato non c’entra nulla.
Cos’ha fatto la fidanzata del galeotto? Ha fatto quello che prima non si era fatto, ovvero indagini un minimo decenti (e, del resto, se le si fossero fatte bene, e se avessero dimostrato la colpevolezza, non ci sarebbero state sei sentenze per tre gradi di giudizio). Ha raccolto le prove a favore dell’accusato. Ora, pochi italiani sanno che questo è un dovere, stabilito dalla legge, del pubblico ministero, ed i pubblici ministeri che lo fanno sono meno degli italiani che lo sanno.

Insomma, la Cassazione decide che ci sono gli elementi per riaprire il processo, che porta alla definitiva assoluzione, dopo undici anni di carcerazione, di Lastella.

Il difetto è nel manico, ovvero in un’ideologia giudiziaria che pensa il confronto fra le parti consista nel sostenere sempre e comunque la tesi presupposta: colpevole per il pm, innocente per l’avvocato. Il difetto sta nel credere che il processo, ogni singolo processo, sia fatto di almeno tre processi, talché la stessa persona può essere riprocessata per lo stesso reato. Il difetto sta nella collettiva ignoranza che chiede alla giustizia quello che la giustizia non è chiamata a dare, ovvero una verità.
V Lastella ha fatto personalmente le spese degli errori insiti nel sistema. Ma a pagare di più, sempre, è un Paese che negando quegli errori, occultando quei difetti, si nega la possibilità di aver qualcosa che somigli alla giustizia.

(fonte: Davide Giacalone, 19 ottobre 2005)