Responsabilità civile dei magistrati: l'intervento di Cosimo Ferri

Il vero significato dell’attuale dibattito sulla responsabilità civile dei magistrati non deve essere ridotto allo slogan “ chi sbaglia paga”, che certamente fa effetto sull’opinione pubblica ma che in realtà raggiunge l’obbiettivo di fuorviare i cittadini dagli importanti valori che tutela l’attuale normativa.

Il tema è stato, infatti, al centro del dibattito democratico degli ultimi decenni e ha reso necessario trovare un punto di equilibrio tra opposte esigenze: da un lato quella di garantire i beni e i diritti dei cittadini vittime di errori giudiziari e, dall’altro, quella di evitare condizionamenti al magistrato nell’esercizio delle sue funzioni.

A tali contrapposte esigenze ha risposto la legge 18 aprile 1988 n.117 intitolata “risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati” che concede una tutela ad hoc per coloro i quali ritengono di essere stati danneggiati ingiustamente dall’esercizio delle funzioni giudiziarie.

La legge attuale sulla responsabilità civile non è un unicum ma si ispira alla legge che disciplina la responsabilità civile degli insegnanti pubblici per i quali è prevista l’azione contro l’amministrazione e non contro l’insegnante personalmente e poi l’amministrazione agisce in rivalsa nei confronti dell’insegnante.

Questa speciale disciplina è stata ritenuta perfettamente compatibile con la Carta costituzionale, poiché – nel porre alcune limitazioni alla pretesa risarcitoria, a salvaguardia dell’indipendenza dei magistrati e dell’autonomia e della pienezza dell’esercizio della funzione giudiziaria – assicura un ragionevole e soddisfacente punto di equilibrio fra i contrastanti interessi, di rilievo costituzionale, della responsabilità dei pubblici dipendenti (art. 28) e dell’indipendenza ed autonomia della magistratura (artt. 101, 104 e 108)

Come, infatti, statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.18/1989 (punti 9 e 10), l’art. 28 Cost. – che fissa la regola, valida per i funzionari e i dipendenti pubblici (e, quindi, anche per i giudici), della loro responsabilità diretta per “gli atti compiuti in violazione di diritti”, secondo “le leggi penali, civili ed amministrative” – dà facoltà al legislatore di prevedere una disciplina capace di tenere in adeguato conto i valori dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudice.

Per la stessa Corte Costituzionale, quindi, tutta la legge sulla responsabilità del giudice deve essere costantemente letta alla luce del principio costituzionale di indipendenza e autonomia della magistratura. Principio, ed è questa la vera novità, che con l’attuazione della riforma sarà irrimediabilmente compromesso. In questo modo, infatti, non sarà più autonomo indipendente e, quindi, equidistante dalle parti, nell’esprimere il proprio giudizio, ma sarà esposto e “condizionato soprattutto da chi ha i mezzi politici ed economici per intraprendere contenziosi contro i magistrati.

Alla luce dei fatti Magistratura Indipendente ribadisce la ferma contrarietà a qualsiasi modifica legislativa che possa condizionare il magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, a tutela dei principi di terzietà del giudice, d’indipendenza e di autonomia.

Non modificare la normativa significa rendere il giudice forte ed indipendente e non lasciarlo solo in balia di timori e di condizionamenti che saranno inevitabilmente mossi dalle parti più forti e da coloro che hanno mezzi e risorse per sostenere i costi ed i tempi della giustizia.

L’auspicio è che i cittadini comprendano il significato di questa battaglia che porta avanti la magistratura non per difendere un privilegio ma per garantire l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Cosimo Maria Ferri
Segretario generale Magistratura Democratica

(fonte: A voce alta , 27 marzo 2011)