La Cassazione: essere Rom non è indice di colpevolezza

Nei confronti dei capofamiglia delle comunità nomadi i magistrati non possono adottare la presunzione di colpevolezza: se sono coinvolti in indagini e poi vengono scagionati hanno diritto, come tutti i cittadini, ad ottenere il risarcimento per l’ingiusta detenzione e i giudici non glielo possono negare dicendo che lo «status» di capoclan costituisce già di per se una «colpa grave» idonea a calamitare i sospetti. Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso di Rinaldo B., un nomade italiano di 49 anni capo del suo gruppo etnico. L’uomo era finito in prigione nell’ambito di una inchiesta, per minaccia e tentato omicidio, nata dai «dissidi» che contrapponevano la sua famiglia ad un altro clan nomade. Al termine del processo, Rinaldo viene assolto e, come prevede la legge, chiede allo Stato il risarcimento dei danni patiti per il periodo passato tra le sbarre da innocente. Ma la sua domanda di «riparazione» viene respinta dalla Corte di Appello di Salerno, il 17 gennaio 2006. Secondo i magistrati di merito lo «status di capofamiglia di un gruppo rom» è già un mezzo indizio di colpevolezza, anzi una «colpa grave» che può far passare qualche tempo in galera anche a chi non ha commesso un reato.

Contro questo `verdetto´ Rinaldo ha protestato innanzi ai giudici di Piazza Cavour sostenendo che era illegittimo negargli il risarcimento in nome della sua «condizione esistenziale di capofamiglia di un gruppo di cultura nomade». E gli `ermellini´ – con la sentenza 27517 della Quarta sezione penale – gli hanno dato ragione. «Poiché tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, e poiché tale eguaglianza – sottolinea la Cassazione – è assicurata altresì a tutti gli uomini dalla `Dichiarazione dei diritti dell’uomo´ e dalla `Carta Europea´, il fondamento della decisione adottata urta contro il sistema delle leggi».

Per questo la Suprema Corte ha annullato il provvedimento emesso dalla Corte d’Appello di Salerno, ordinando ai giudici di rivedere la loro posizione. Anche la Procura del “Palazzaccio”, rappresentata dal sostituto procuratore generale Giovanni D’Angelo, aveva chiesto l’annullamento con rinvio della decisione che aveva negato il risarcimento a Rinaldo. Nei giorni scorsi la Cassazione – con una sentenza nata dal ricorso del sindaco leghista di Verona Fabio Tosi – aveva affrontato il tema della convivenza, spesso problematica, con le comunità nomadi invitando a non accusare i politici di iniziative razziste quando prendono provvedimenti per far fronte a «comportamenti criminali» di determinati gruppi etnici.

(fonte: Il Secolo XIX, 9 luglio 2008)