Con una recentissima sentenza, la Suprema Corte di Cassazione, ha nuovamente affrontato il tema della risarcibilità del danno all’imputato poi assolto.
La decisione della Corte è stata di escludere il risarcimento in tutti quei casi in cui il processo si conclude con una sentenza di assoluzione dell’imputato in quanto il nostro ordinamento non contiene una norma che indennizzi la ingiusta imputazione, ovvero la ingiusta promozione di una azione panale.
Il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale andrà concesso solo nel caso di ingiusta detenzione (per aver sofferto l’applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere), nel caso di irragionevole durata del processo ed infine nel caso di errore giudiziario, cioè di condanna ingiusta accertata in sede di revisione.
Fuori da questi casi non è ammessa riparazione, neppure se c’è stata una imputazione ingiusta, cioè una imputazione rivelatasi infondata a seguito di sentenza di assoluzione.
La decisione è stata originata dalla richiesta di risarcimento di un professionista, un avvocato con incarichi di responsabilità in alcune società di capitali, che lamentava il crollo dei propri redditi a seguito di un procedimento penale promosso nei suoi confronti con l’accusa di concorso in bancarotta fraudolenta, oltre che di aver scontato un periodo di carcerazione preventiva di alcune settimane.
Il professionista era poi stato assolto da ogni imputazione e aveva chiesto, a vario titolo, il risarcimento dei danni subiti. Tra i motivi del ricorso sottolineava particolarmente la diminuzione dei guadagni sofferta oltre che nel periodo di carcerazione preventiva, anche per il successivo lasso di tempo fino alla pronuncia della sentenza di assoluzione
E ciò perché anche dopo la messa in libertà, essendo stato imputato di un reato estremamente grave, come la bancarotta fraudolenta, era stato particolarmente danneggiato operando prevalentemente in incarichi all’interno di società di capitali.
Qualcuno ha sostenuto che, fatti due conti si capisce che la posta in gioco è troppo alta, lo Stato avrebbe certamente dei problemi a risarcire tutti coloro che, a seguito di una ingiusta imputazione, vengono assolti e che in qualche modo per effetto delle accuse mosse hanno visto compromessa la loro carriera.
E anche se non sussistessero danni materiali, pensiamo ai danni morali scaturenti da un processo che “balza” agli onori della cronaca, locale o nazionale.
La decisione del Supremo Giudice da un lato di fatto scava ulteriormente nel solco della differenziazione in tema di responsabilità tra i magistrati e tutti gli altri “servitori dello Stato”, dall’altro alza un muro a difesa dei magistrati inquirenti i quali sono “liberi” di indagare chi gli pare senza che lo stato debba risarcire i danni relativi, a patto che non chiedano l’applicazione di misure cautelari custodiali.
Non è condivisibile la tesi che i magistrati in genere e quelli inquirenti in particolare, non debbano rispondere degli errori commessi nell’esercizio dell’azione penale; tutte le categorie soggette a rischi particolari, pensiamo ai chirurghi, sono quotidianamente chiamati a rispondere delle proprie azioni, anche colpose, se da queste derivano danni per i cittadini. Una solida polizza assicurativa tutela tutte le categorie a rischio e le aziende da cui dipendono. Perché la stessa norma non può applicarsi ai magistrati ?
Pensiamo per un attimo a tutte quelle indagini spettacolari e seguitissime come una fiction televisiva che poi non approdano mai nelle aule di giustizia perché i processi non si celebrano, in quanto le accuse si ”sgonfiano” oppure semplicemente non se ne sente più parlare; ricordiamo che quelle inchieste sono costate al contribuente in termini di energie e di personale impiegato, di spese per intercettazioni telefoniche etc etc.
Eppure un’ accusa, poi risultata infondata, per un professionista, per un imprenditore o per un cittadino in genere costa in termini di onore, di decoro, di onorabilità, ma, soprattutto, può compromettere in maniera irreparabile la sua attività lavorativa e la stessa vita.
Se per dare più ampie garanzie al cittadino e maggiore professionalità ai magistrati è necessario separarne le carriere si provveda a legiferare in merito.
Forse se nel promuovere le azioni penali i magistrati inquirenti fossero un po’ più cauti, evitassero di spettacolarizzare le proprie inchieste, pensassero di più alle indagini e meno alle conferenze stampa, si potrebbe accettare di più l’idea di non poter neppure chiedere il risarcimento in caso di ingiusta imputazione.
Pietro Caffa
(fonte: LiberoReporter , 7 luglio 2008)