Il mostro e la prudenza

Fermo restando che praticamente tutti, dagli investigatori ai giornalisti fino alla stragrande maggioranza degli italiani, son convinti che l’assassino di Yara sia il muratore vicino di casa, occorre riflettere sulla gogna mediatico-giudiziaria che ancora una volta colpisce un «presunto» omicida.

 

Se è vero che l’ennesimo «mostro» sbattuto in prima pagina ha un’altissima probabilità di essere davvero responsabile dei gravissimi fatti contestati (dal dna rinvenuto sui capi intimi della tredicenne alle chiamate telefoniche a ridosso della scomparsa) occorrerebbe comunque un po’ di prudenza perché di scempi giudiziari/giustizialisti sono piene le cronache che hanno dato in pasto all’opinione pubblica mostri all’apparenza certi, d’ogni colore e parentela, marocchini o albanesi, ex fidanzati o insospettabili, poi risultati innocenti. Il garantismo è una professione che andrebbe coltivata sempre, non a fasi alterne, a seconda delle convenienze.

 

Poi questo Massimo Giuseppe Bossetti, a tutt’oggi incensurato e innocente, alla fine risulterà anche colpevole ma in assenza di una confessione (che può anche non bastare come insegna la storia di zio Michele nel giallo di Avetrana) e soprattutto di una condanna definitiva, la giurisprudenza mediatica impone misura, circospezione e un po’ di accortezza che nel caso di specie non c’è stata.

A questo aggiungeteci la patetica corsa a bruciare sul tempo la notizia per guadagnarsi meriti e prime pagine: sinceramente fa sorridere il pubblico ministero di turno che si arrabbia col ministro Alfano (frettoloso nel definire «assassino di Yara» il sospettato a quel momento solo interrogato e nemmeno arrestato) perché per una volta è la politica, e non la magistratura, ad arrivare prima sotto i riflettori della notizia.

Ecco perché alla luce di quel che ogni giorno vediamo trapelare dagli uffici colabrodo delle procure fanno tenerezza le lamentele dei pubblici ministeri indispettiti perché «è stato violato il segreto istruttorio», e perché «bisognava tutelare una persona che allo stato risulta solo indagata».

 

Sarà politicamente scorretto dirlo ma la speranza, a questo punto, è che il muratore di Brembate sia davvero il mostro descritto senza mai ricorrere al condizionale. Perché se così non fosse, dopo Yara avremmo un’altra vittima. Lui.

 

Gian Marco Chiocci

 

(fonte: Il Tempo, 18 giugno 2014)