Errori giudiziari: se la giustizia è latitante

Qual è la giustizia ingiusta? Quella fatta da indagini approssimative, da magistrati e avvocati che sbagliano e da risarcimenti milionari da pagare. Ma è soprattutto quella giustizia fatta da innocenti che finiscono in galera, a volte e troppo spesso, anche prima che venga emessa una sentenza di primo grado. Il Corriere del Mezzogiorno ha scovato tre casi. Dietro ogni caso c’è una persona e dietro ognuno di loro c’è una storia segnata dal destino e dalla Dea che simbolicamente tiene in mano una bilancia.

 

ACCUSATORE DI GAMBINO – L’estate scorsa Amerigo Panico ha mandato in galera l’ex sindaco di Pagani, Alberico Gambino, e altre undici persone, svelando un presunto sistema di amministrazione radicato sull’intreccio politica-camorra. Nel corso del processo ancora in corso al Tribunale di Nocera Inferiore, i difensori dei “gambiniani” hanno più volte tentato di dimostrare l’inattendibilità del teste principale, sia come persona che come imprenditore. La conferma sembra essere arrivata qualche settimana fa dalla Procura di Nocera Inferiore che ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti. L’accusa è di bancarotta fraudolenta e nelle carte dell’inchiesta è finito un giro milionario di soldi che sarebbero transitati da una società all’altra dell’imprenditore originario di Maiori e da un familiare all’altro dello stesso. Panico è stato portato a Fuorni il 20 settembre scorso ed è rimasto in carcere per otto giorni, di cui quattro con gli stessi abiti che indossava quando i finanzieri gli hanno notificato il mandato. Il titolare del centro commerciale Pegaso, dove si sarebbero consumati la maggior parte dei reati che la Dda di Salerno ascrive ai gambiniani, in realtà, ai giudici aveva ammesso le sue colpe. E aveva anche spiegato nei dettagli come era transitato il denaro per evitare il fallimento di una delle società di famiglia. Lo aveva fatto almeno tre mesi prima del suo arresto (il 7 giugno scorso), ma il gip che ha accolto la richiesta del pm non sapeva nulla della collaborazione resa ai magistrati. Nel fascicolo inviatogli dal sostituto procuratore di Nocera che aveva condotto le indagini, il verbale di interrogatorio del 7 giugno non c’era. È il suo avvocato difensore, Federico Cioffi, a mostrarlo al giudice per le indagini preliminari la mattina stessa in cui viene eseguito l’arresto. Il magistrato lo reinterroga, esamina i documenti e Panico viene rimesso in libertà. Indagato ma libero dopo sette giorni di galera.

 

TIFOSO DEL MILAN – Tifoso del Milan Mentre una donna subiva una rapina a Pastena, Piero (nome di fantasia) stava giocando a basket con i suoi amici a Pontecagnano di fronte al centro commerciale Decathlon. Di notte però i carabinieri bussano alla porta di casa sua e lo trascinano in carcere. Dicono che sia lui il rapinatore, che le telecamere lo hanno ripreso e che è stato incastrato dalla felpa del Milan che indossava: il rapinatore indossava una felpa identica alla sua. A Fuorni resta due settimane. Il ragazzo quella rapina non l’ha commessa, si difende dicendo che quel giorno e a quell’ora era con i suoi amici a giocare a pallone. E i ragazzi confermano la tesi all’avvocato Michele Tedesco che ha preso la difesa del ragazzo, avvia le sue indagini difensive e riesce ad intercettare anche una persona che, dopo la rapina, era stata chiamata dai carabinieri per effettuare il riconoscimento del presunto rapinatore, perché quella sera aveva cercato di azzuffare il delinquente ma non c’era riuscito. Dietro il vetro c’era Piero e quell’uomo disse di non riconoscerlo, fu redatto anche apposito verbale ma il giovane comunque andò in galera. Ci è rimasto due settimane, fino a quando il Tribunale del Riesame di Salerno non ne ha ordinato la scarcerazione alla luce dei nuovi elementi di prova difensivi.

 

STUDENTESSA UNIVERSITARIA – Carla (altro nome di fantasia) adesso ha trentatré anni e si è laureata. Quando è stata arrestata di anni ne aveva ventinove. Fu sorpresa a casa del suo fidanzato dell’epoca che aveva problemi di tossicodipendenza e per racimolare denaro spacciava hashish e cocaina. Nella casa messa a soqquadro dai carabinieri, quel giorno, erano stati trovati 52 grammi e mezzo di cocaina nascosti in una scatola di cartone riposta nel cassetto di un mobile del soggiorno di ingresso e 437 grammi di hashish in altre scatole di cartone poggiate un po’ ovunque (sul tavolo della cucina e in un porta occhiali appoggiato sul comodino della camera da letto). In quella stessa casa c’erano anche alcuni effetti personali della ragazza che per il gup di Salerno costituivano la prova inconfutabile della complicità della giovane nell’attività di spaccio del ragazzo. Il giudice la incolpò di “concorso morale”, cioè Carla – spiegò nella sentenza emessa con il rito abbreviato il 28 luglio 2008 – non poteva non sapere. Quando fu pronunciata la sentenza, la ragazza era già in carcere da tre mesi. Lei aveva conosciuto quel ragazzo solo sei mesi prima del blitz e dell’arresto. Eppure, durante il mini-processo, la difesa portata avanti da Agostino Allegro e Michele Tedesco aveva dimostrato che Carla era una brillante studentessa universitaria, non faceva uso di sostanze stupefacenti e il ragazzo- spacciatore aveva ammesso che lei non c’entrava nulla con quella storia e che non sapeva affatto che nascondeva in casa quell’ingente quantitativo di droga. E’ stato necessario il processo d’appello per accertare che né lei né lui avevano mentito. Sono state indispensabile le testimonianze delle sue amiche più care per farla uscire da quell’incubo. In secondo grado sono emerse le inquietudini della ragazza quando aveva scoperto che il suo uomo non aveva smesso di fare uso di droga nonostante le promesse che le erano state fatte. E allo stesso modo era stata presa in giro quando lui le aveva garantito che aveva dato un taglio netto anche alla sua vita di spacciatore. Che erano solo bugie lo ha scoperto quel giorno, quando i carabinieri sono entrati in quella casa e l’hanno portata a Fuorni. Da innocente.

 

(fonte: Angela Cappetta, Corriere del Mezzogiorno, 2 ottobre 2012)