Errori giudiziari in Veneto, 100 casi in tre anni

Antonino Mazzeo Rinaldi

L’ultimo caso arrivato agli onori della cronaca nazionale – veneto per il protagonista (suo malgrado) anche se lombardo di competenza – è stato quello di Mohamed Fikri, il marocchino trevigiano arrestato il 4 dicembre 2010 e rimasto in galera tre giorni con l’accusa di essere l’assassino di Yara Gambirasio: un paio di mesi fa la Corte d’appello di Brescia lo ha risarcito con 9 mila euro per quei tre giorni di carcere che gli hanno rovinato la vita, nonostante ne sia uscito pulito.

E proprio in quei giorni i dati del governo rivelavano che nell’arco degli ultimi 20 anni lo Stato era stato costretto a risarcire circa 600 milioni di euro per gli «errori giudiziari». Sotto questo aspetto, leggendo i dati della Corte d’appello di Venezia, il Veneto non fa eccezione. Dal 2011 a oggi, in tre anni e mezzo, la Corte lagunare ha infatti accolto 97 istanze di ingiusta detenzione (altre 42 sono state invece respinte), liquidando una somma a sei zeri: due milioni e 335 mila euro.

 

Una media di oltre 20 mila euro a caso, anche se ovviamente le fattispecie e i risarcimenti sono del tutto diversi: per esempio, nel 2013, nonostante le istanze accolte siano state in calo rispetto ai due precedenti di oltre un terzo, la spesa liquidata è stata doppia. Ma soprattutto una spesa rilevante se si pensa allo stato quotidiano della giustizia in tutto il paese e anche nella nostra regione, dove spesso magistrati e cancellieri si devono portare penne e fogli da casa, quando non addirittura la carta igienica e il sapone.

«Sicuramente c’è un danno economico all’amministrazione della giustizia – commenta il presidente della Corte d’appello di Venezia, Antonino Mazzeo Rinaldi – però a me interessa soprattutto il fatto che dietro ad ogni numero c’è un caso personale. Non è giusto che una persona venga rinchiusa in carcere e ci resti senza avere colpa». Detto questo, però, Mazzeo Rinaldi ritiene di poter «assolvere» del tutto i magistrati del distretto veneziano. «Non mi pare uno dei problemi della nostra magistratura, anche se ovviamente l’obiettivo è quello di non commettere mai errori e si cerca sempre di lavorare per questo – spiega – però credo che circa un centinaio di casi in più di tre anni siano una cifra abbastanza compatibile con un sistema come il nostro».

 

D’altra parte spesso per finire in carcere serve un quadro indiziario decisamente minore rispetto a quello necessario per una sentenza di condanna, dove continua a vigere l’espressione «oltre ogni ragionevole dubbio», mentre si assolve per quella che una volta si diceva «l’insufficienza di prove». «A volte capita che ci siano delle persone che nel corso delle indagini ne accusano un’altra e poi magari al dibattimento ritrattano – conclude il presidente della Corte veneta – Questo per dire che non è semplice come può sembrare». La Corte peraltro, come dicono i numeri, ha anche un alto tasso di rigetto: poco meno di un terzo delle domande sono state respinte, perché oltre all’assoluzione definitiva, va valutata anche la possibile che l’arrestato non abbia avuto comportamenti tali da poter far sospettare delle attività illecite.

 

(fonte: Corriere del Veneto, 10 novembre 2014)