Costa: “Azione disciplinare per i giudici che sbagliano”

«Un trend particolarmente preoccupante». Così Enrico Costa, viceministro alla Giustizia di Ncd, definisce i numeri degli indennizzi per ingiusta detenzione dal ’92 a oggi. Quasi 24 mila persone per un totale di oltre 600 milioni di euro. «Abbiamo più o meno mille casi l’anno», spiega, «e fino ad oggi il fenomeno non era mai emerso in tutto il suo dramma. E poi 24 mila sono i cittadini indennizzati, ma quanti ce ne saranno che magari non hanno fatto domanda di indennizzo per varie ragioni?».

 

Come se ne esce?

«Innanzitutto prevedendo un meccanismo secondo cui si va a verificare se, caso per caso, ci sono dei presupposti per avviare un’azione disciplinare verso il giudice. Che, poi, potrà finire in un’archiviazione o meno. Finora non è automatico che le carte finiscano sul tavolo del titolare dell’azione disciplinare, che è il ministro della Giustizia o il Procuratore Generale della Cassazione. Non si vuol riconoscere il principio secondo cui può esserci un’azione disciplinarmente significativa. Lo Stato riconosce il suo errore e indennizza. Ma non può essere il solo a pagare».

 

Quindi, nel caso, il giudice dovrà pagare di tasca sua?

«Non intendo questo, la responsabilità disciplinare è cosa ben diversa dalla responsabilità civile».

 

Dopo che lei ha lanciato la proposta, c’è chi sta frenando?

«Diciamo che ci sono delle resistenze corporative molto forti. Poco fa, un magistrato ha sostenuto che andare a prevedere un meccanismo di questo genere equivale ad un’intimidazione. Ma si tratta di un principio di civiltà giuridica, perché quando la superficialità del magistrato compromette la libertà personale di una persona, non ci si può di certo passare sopra. Specie considerando che esistono degli aspetti anche relativi alla reputazione della persona. Quando uno passa per il carcere, anche se ci passa ingiustamente, non è che poi si toglie quel marchio con molta facilità».

 

C’è qualche caso che l’ha particolarmente colpita?

«No. Quando si hanno di fronte vicende di ingiusta compromissione della libertà personale, tutti i casi sono uguali. Queste vicende non hanno colori né significati diversi a seconda delle persone. Io ho fatto una valutazione complessiva del fenomeno, effetto di un’applicazione disinvolta della custodia cautelare».

 

L’Italia è un Paese dalle manette così facili, quindi?

«La custodia cautelare è stata applicata troppo spesso in maniera estensiva. Troppo spesso, inoltre, mi pare ne sia stato fatto un abuso, quasi per andare a sostituire la carenza di certezza della pena nel nostro Paese».

 

Leggendo i dati di quest’anno, primi sette mesi, sul podio per indennizi ci sono tre distretti del Sud…

«Sì, in molti casi al Sud c’è una forte incidenza di questo fenomeno».

 

E questo da cosa deriva secondo lei?

«Bisogna valutare tutto molto bene, senza generalizzazioni affrettate. Per questo bisogna parlarne e approfondire».

 

Ora, all’atto pratico, come ha intenzione di dare concretezza alla sua battaglia?

«All’atto pratico, credo che nel percorso del provvedimento sul processo penale si potranno quanto meno accendere i fari sul fenomeno».

 

Che vuol dire “accendere i fari”?

«Significa stimolare un monitoraggio costante da parte del Ministero, con un’analisi il più approfondita possibile di questi casi».

 

Verranno presentati emendamenti?

«Ci sono già degli emendamenti presentati che potranno essere presi in considerazione».

 

Il Pd è d’accordo sul principio di aprire ad approfondimenti disciplinari sui giudici?

«Spero di sì. Mi pare un principio di civiltà».

 

E pensa di trovare sponde anche altrove?

«Credo di sì, sono sicuro possa esserci una forte sensibilità sul tema».

 

 

(fonte: Pietro De Leo, Il Tempo, 15 settembre 2015)