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Legge Pinto, stretta sui risarcimenti. Rischiano anche quelli per ingiusta detenzione?

La Giustizia italiana avrebbe bisogno di fondi, sotto forma di personale (magistrati, cancellieri e non solo quelli) e di mezzi. Ma la realtà è ben diversa: la legge di Stabilità prevede esattamente il contrario, una brusca sforbiciata agli stanziamenti in bilancio che andrà a toccare anzitutto gli indennizzi previsti in caso di processi troppo lunghi. In sostanza, quelli previsti dalla legge Pinto. A questo punto dubitare è lecito: rischieranno anche le riparazioni per ingiusta detenzione?

Procediamo per ordine. La legge Pinto, che prevede oggi un risarcimento per coloro che abbiano subito processi di durata irragionevole (nel penale come nel civile, nell’amministrativo e nel contabile), cambia nell’entità degli indennizzi e nella procedura per farli scattare.

Per avere diritto a una riparazione dei tempi biblici del proprio processo, in base alla legge Pinto, bisognerà prima aver tentato di espletare altre vie. Quindi, ci si troverà comunque dinanzi a un altro ostacolo: l’entità della somma sarà calcolata in base a parametri decisamente più bassi rispetto a quelli odierni: si andrà infatti da un minimo di 400 euro a un massimo di 800 euro da liquidare per ogni anno oltre il termine ragionevole di durata del processo stesso.

Lo Stato, insomma, sembra quasi non volersi curare troppo dei propri cittadini che restano invischiati per anni, talvolta per decenni, nelle maglie di una giustizia da cui vorrebbero invece liberarsi prima possibile.

A questo punto, nasce il dubbio che un provvedimento del genere rappresenti una tendenza dello Stato a stringere il freno nei confronti dei risarcimenti in generale. Che ne sarà delle sentenze di riparazione per ingiusta detenzione? Già oggi non tutti coloro che fanno richiesta del risarcimento per un periodo trascorso in custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari da innocenti, vengono soddisfatti. Solo un terzo, al massimo due terzi delle domande (le fonti non concordano) vengono accolte e dunque liquidate.

Negli ultimi tempi in particolare, gli importi corrisposti a titolo di riparazione per ingiusta detenzione sono progressivamente diminuiti: non perché siano in calo i casi di ingiusta detenzione, ma perché è scesa la disponibilità finanziaria sui capitoli di bilancio. Insomma: in tempi di spending review, la necessità di tagliare i fondi ha portato a una diminuzione di denaro a disposizione dei risarcimenti. E, con molta probabilità, anche a una stretta nella valutazione delle istanze di risarcimento.

Nell’articolo del Sole 24 Ore che vi proponiamo qui di seguito, i dettagli dei nuovi provvedimenti che modificano la legge Pinto sui risarcimenti in caso di eccessiva lunghezza dei processi.

Passa anche per un restyling della legge Pinto la cura dimagrante degli stanziamenti alla Giustizia, prevista con la legge di Stabilità e stimata in 30-35 milioni di euro. L’articolo 56 introduce una serie di paletti per chiedere l’indennizzo da irragionevole durata del processo (civile, penale, amministrativo, contabile) e fissa il minimo (400 euro) e il massimo (800 euro) degli importi che lo Stato è tenuto a liquidare per ogni anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo (somme diminuite del 20 o 40% quando le parti del processo sono, rispettivamente, più di 10 o di 50).

Una stretta, insomma. Non solo. L’articolo 43 (che riduce una serie di spese dei ministeri) taglia invece le indennità dovute a giudici di pace, giudici onorari aggregati, giudici onorari di Tribunale e viceprocuratori onorari, «in modo da assicurare risparmi non inferiori a 6.650.275 euro per il 2016 e a 7.550.275 euro a decorrere dal 2017». Ridotto, poi, di 4 milioni il Fondo per la mobilità del personale amministrativo, che dovrebbe consentire di coprire entro fine anno 1.031 posti e altri 2mila nel 2016 (su un totale di 9mila scoperture).

Sarà dunque meno facile chiedere il risarcimento del danno per l’eccessiva durata dei processi; il che forse consentirà di ridurre anche l’enorme mole delle cause-Pinto pendenti presso le Corti d’appello, la cui durata è spesso “irragionevole”.
Costituisce infatti condizione di ammissibilità per la domanda di «equa riparazione» l’aver esperito i «rimedi preventivi » all’irragionevole durata del processo, previsti dal nuovo articolo 1 bis della legge. Nel civile, ad esempio, bisognerà aver chiesto di passare dal rito ordinario a quello sommario entro l’udienza di trattazione o, comunque, almeno 6 mesi prima che sia decorso il termine di ragionevole durata (3 anni in primo grado e in altrettanti in appello). Così nel penale, è previsto che le parti possono depositare l’istanza di accelerazione sempre sei mesi prima della scadenza del termine ragionevole (3 anni in primo grado; due in appello) o due mesi prima se il giudizio è in Cassazione.
Strada sbarrata al risarcimento, quindi, se il «rimedio preventivo» non è stato esperito correttamente e anche in un’altra serie di casi, tra cui «l’abuso dei poteri processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento».
Inoltre, si introduce una serie di ipotesi in cui «si presume insussistente, salvo prova contraria, il pregiudizio da irragionevole durata del processo». E tra queste figura anche l’intervenuta prescrizione del reato, limitatamente all’imputato, poiché si presume, appunto, che se l’eccessiva durata ha portato alla prescrizione, quest’ultima rappresenti già un vantaggio per l’imputato.

Adempiuti vari obblighi di documentazione previsti dalla nuova disciplina, entro sei mesi lo Stato dovrà pagare, «ove possibile», per intero, ma «nei limiti delle risorse disponibili sui pertinenti capitoli di bilancio». La norma transitoria ovviamente esclude dall’obbligo del «rimedio preventivo» (condizione di ammissibilità della domanda di indennizzo) i processi in corso nei quali, al 31 ottobre 2016, non ci sia più il tempo utile per esperirlo.

 

(fonte: Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2015)