Il giudice di corte d’appello: “Così si decide un indennizzo per ingiusta detenzione”

Napoli è una delle città italiane con i numeri più elevati in fatto di risarcimenti per ingiusta detenzione, secondo i dati più recenti resi noti dal ministero della Giustizia. E’ seconda nella classifica assoluta, dietro Catanzaro. Che cosa ne pensa il giudice che presiede il pool di colleghi chiamati a decidere sulle istanze che arrivano dal capoluogo campano? «Purtroppo nel nostro sistema l’ingiusta detenzione non è una patologia, bensì una fisiologia», avverte il giudice Giuseppe De Carolis, presidente della ottava penale della Corte d’Appello.

 

Nel 2014, la Corte ha provveduto su 308 casi. Quasi uno al giorno, dunque. Spiega il giudice De Carolis: «Gli elementi che consentono di arrestare una persona sono diversi da quelli richiesti dalla legge per la condanna. Nel primo caso sono sufficienti i gravi indizi, nel secondo occorrono le prove. Ecco perché capita frequentemente che una persona, dopo un periodo più o meno lungo di custodia cautelare, venga poi assolta al processo. Quasi sempre il materiale probatorio è diverso perché il giudice del dibattimento non può utilizzare gli atti utilizzati per la custodia cautelare. Il problema semmai sono i tempi eccessivamente dilatati in cui tutto questo meccanismo si sviluppa». Il presidente della ottava penale di Appello (di cui fanno parte anche i giudici Rosa Caturano, Furio Cioffi e Gabriella Gallucci) assicura che «i veri e propri errori tecnici si contano sulle dita di una sola mano. Proprio per questo non si parla di risarcimento bensì di indennizzo: lo Stato si rende conto che il cittadino è incappato in una falla del sistema e si sente in dovere di garantirgli una somma».

 

I casi più frequenti, argomenta il giudice De Carolis, «nascono dalle intercettazioni: spesso vengono desunti elementi sufficienti come gravi indizi, ma poi a dibattimento il tribunale o la Corte d’Assise propendono, dopo la trascrizione, per una diversa interpretazione delle stesse frasi. Un’altra fattispecie riguarda le testimonianze ai processi per rapina dove la vittima, nella fase delle indagini, ha riconosciuto in foto o dal vivo il presunto rapinatore, ma poi a dibattimento, magari celebrato a distanza di un paio d’anni, non ha più le stesse certezze». Arrestare la persona sbagliata può costare allo Stato fino a un massimo di mezzo milione di euro. Non ci sono tetti invece nel caso di errore giudiziario, quando cioè non si sia trattato di custodia cautelare ma di condanna passata in giudicato che si riveli errata, all’esito di una revisione.

 

L’ottava penale di Appello ha però messo a punto un sistema per ridurre l’impatto economico dell’ingiusta detenzione: «La maggior parte dei casi — evidenzia De Carolis — riguarda imputati recidivi, che hanno altre pene da scontare: in queste circostanze, invece del risarcimento economico, il periodo di ingiusta detenzione viene detratto dalla pena da scontare per un altro reato, in modo da consentire all’imputato di ottenere la scarcerazione. Lui risparmia il carcere, lo Stato i soldi». L’indennizzo non può superare i 253 euro per ogni giorno di carcere. «La nostra sezione — conclude il presidente — tiene sempre conto dell’impatto carcerario, al di là del giorno in più o in meno. Per un incensurato di 50 anni, anche solo tre giorni in una cella di Poggioreale possono essere devastanti».

 

(fonte: Dario Del Porto, Repubblica Napoli, 18 gennaio 2015)