Mastella: “Io e la mia famiglia, mostrificati e assolti”

Clemente Mastella

Dice Clemente Mastella: “A casa siamo in cinque, ed esclusa la mia figlia più piccola ci hanno inquisito tutti. E finora, grazie a Dio, sempre tutti prosciolti”. E’ notizia di mercoledì, poco riportata sui giornali, “un trafiletto su Repubblica in cronaca regionale”, dice Mastella: assolti con formula piena Sandra Lonardo Mastella ed Elio Mastella, rispettivamente moglie e figlio dell’ex ministro della Giustizia.

Ad aprile di quest’anno, Sandra e Clemente Mastella erano già stati assolti assieme a Maurizio Zamparini, imprenditore veneto, per una storia di presunte tangenti intorno alla costruzione di un centro commerciale nella provincia di Benevento. “Ed è tutto cominciato con il mio ingresso nel governo di Romano Prodi, quasi dodici anni fa. Da allora, secondo qualcuno, una volta seduto al ministero della Giustizia sarei diventato una specie di Bernardo Provenzano. Io e tutta la mia famiglia”. Il governo Prodi cadde in Senato alle 15 di giovedì 24 gennaio 2008, una settimana prima, il 16 gennaio, Mastella aveva annunciato alla Camera le sue dimissioni dall’incarico dopo che la moglie Sandra Lonardo era stata messa agli arresti domiciliari. “Un governo già periclitante fu colpito da una batosta giudiziaria”, ricorda Mastella. “Si sfasciò tutto in tempi velocissimi. Quello è stato l’ultimo governo del centrosinistra, prima della resurrezione renziana. E per me, e i miei famigliari, è stato l’inizio d’un calvario. Abbiamo subìto decine di indagini, e ancora adesso ci sono tre procedimenti a Napoli, spero gli ultimi. Sono accusato di concussione, per fatti del 2006, concussione apparentemente senza concusso”, perché Antonio Bassolino, vittima della presunta concussione, ai tempi presidente della regione Campania, non è mai stato ascoltato dai magistrati.

 

“Ma le assoluzioni arrivano, e per fortuna c’è ancora un giudice a Berlino”. La signora Mastella assolta, il figlio Elio assolto. A settembre è stato condannato invece a un anno e tre mesi di reclusione Luigi De Magistris, che prima di diventare sindaco di Napoli, nel 2009, era il pm del caso Why Not, un’altra indagine, della procura di Catanzaro, finita nel nulla e che aveva coinvolto Mastella. “De Magistris è stato anche condannato a risarcirmi di ventimila euro. Ma dice che non ce li ha. Boh. I

soldi sono il meno, anche se ne ho spesi una vagonata per le spese legali in questi anni, e sono in difficoltà. Ma importano di più altre cose. Vede, lo sfolgorante scintillio di stelle luciferine a mezzo stampa, gli schizzi di fango per via giudiziaria, tutto questo non si cancellerà mai. Questo sistema, questo cortocircuito tra le procure che ti investono e i quotidiani che danzano il sabba, è un modo per ammazzare, stritolare, distruggere non solo dal punto di vista politico, ma personale, umano. Uno dei miei figli si è trasferito al nord. L’altro è stato accusato da un pentito che sosteneva gli fosse stata data un’ automobile dalla camorra. Ma vi rendete conto? Roba da matti. Tutto senza riscontri. Ma un danno personale, biologico, bestiale. Per dire, quando cominciò la storia di Why Not il mio partito si sfaldò. Eppure, sapete che scrisse il giudice delle indagini preliminari di Catanzaro? Che nei miei confronti l’attività investigativa non sarebbe dovuta nemmeno cominciare”.

 

Giovedì 24 gennaio 2008, al termine di una lunga votazione nominale, il Senato non riconfermò la fiducia al governo di Romano Prodi. Il risultato finale fu di 161 voti contrari e 156 voti favorevoli. Il governo cadde. I senatori di Forza Italia e di Alleanza nazionale stapparono champagne, girò anche qualche fetta di mortadella. “Ero l’anello più debole. E penso che qualcuno volesse far saltare il sistema”, dice Mastella. “La procura di Santa Maria Capua Vetere aveva messo agli arresti Sandra, mia moglie. Tempo fa ho ascoltato alla ‘Zanzara’, su Radio24, un’intervista a don Merola, il parroco anticamorra che diceva questa cosa qua: Sandra fu inquisita perché io avevo stabilito per legge il limite di otto anni negli incarichi direttivi negli uffici giudiziari. E il procuratore, a Santa Maria Capua Vetere, se ne sarebbe dovuto andare. Chissà… Io penso una cosa sola: l’attività senza briglia di alcune procure è un guasto del nostro sistema giudiziario. Ma poi da noi ci si mettono anche i giornali”.

 

Circo mediaticogiudiziario, si chiama. “La Stampa di Torino ha appena perso una causa con me. Li ho querelati e ho vinto perché avevano collegato, nel 2009, la mia casa di Ceppaloni con una storia di tangenti. Io sono un bersaglio facile, lo sono sempre stato per ragioni caratteriali, estetiche, per la mia storia, il mio modo di fare, perché non mi nascondo. Si è favoleggiato per anni sulla mia piscina a Ceppaloni. Ebbene, a San Giovanni di Ceppaloni, la frazione dove abito, ci sono trenta piscine. E la mia non è nemmeno niente di speciale. Eppure s’è fatta tanta letteratura. Meno male che mia moglie è così pignola d’aver sempre conservato le fatture, gli scontrini, le ricevute di tutto. Nell’antica Roma la giustizia non veniva amministrata nel Colosseo come avviene oggi. In Italia ti sbattono nell’arena con i leoni a sbranarti”.

 

Giudizio e pregiudizio? “Ma si rende conto che mia moglie e mio figlio erano accusati di estorsione per una storia di centocinquanta euro? No, dico: estorsione. Un reato gravissimo, che prevede una pena di dieci anni di carcere. Per anni ha funzionato così: chiunque aveva un sassolino nella scarpa andava a bussare in procura, denunciava i Mastella e subito via con le indagini, ovviamente infinite”, e molto sputtananti. “Io sono andato sotto inchiesta, al Tribunale dei ministri, anche per quella storia assurda dell’aereo con Rutelli per andare a vedere un Gran premio di Formula uno”.

 

Rimangono ancora tre inchieste a Napoli. “E spero che sia finalmente finita. Ma il mio caso si può studiare all’università, è emblematico di un cortocircuito, è evidente che c’è qualcosa che non funziona se alcuni magistrati possono far cadere governi e rovinare carriere politiche senza riscontri, senza che le loro inchieste portino poi a delle condanne”.

 

(fonte: S.M., Il Foglio, 21 novembre 2014)