Calogero Mannino non avrà il risarcimento per ingiusta detenzione

La quinta sezione della Corte d’appello di Palermo ha respinto la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione presentata dal parlamentare Calogero Mannino, ex ministro dc, che era rimasto in custodia cautelare per 23 mesi: un anno in cella e i resto ai domiciliari per motivi di salute.

 

La richiesta è stata respinta dalla Corte perché il parlamentare “ha dato causa con colpa grave alla sua vicenda giudiziaria”, in relazione a presunti rapporti con i mafiosi dell’agrigentino che hanno potuto ritenere di averlo a disposizione.

 

Arrestato nel 1995 con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, era stato poi assolto con formula dubitativa, ma in appello era stato condannato a 5 anni e 4 mesi.

 

Infine la Cassazione a sezioni unite annulla con rinvio la condanna. Al nuovo processo di secondo grado Mannino viene assolto perché non c’era la prova che avesse contribuito ad agevolare Cosa nostra.

 

L’ex ministro di recente ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa fra la mafia e lo Stato per “violenza a corpo politico”. Secondo l’accusa avrebbe fatto “pressioni” per alleggerire il regime del 41 bis inflitto ai boss mafiosi.

 

LE MOTIVAZIONI – “Orbene non vi è dubbio che per un uomo politico di primo piano accettare consapevolmente l’appoggio elettorale di un esponente di vertice dell’associazione mafiosa e, a tal fine, dargli tutti i punti di riferimento per rintracciarlo in qualsiasi momento, integra gli estremi di colpa grave e costituisce, senza dubbio, condotta sinergica rispetto all’evento detenzione”.
È uno dei passaggi della motivazione con cui la Corte d’appello per le Misure di prevenzione di Palermo ha respinto la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione presentata dall’ex ministro Calogero Mannino.

 

Il collegio, composto dal presidente Salvatore Di Vitale e dai consiglieri Raffaele Malizia e Gabriella Di Marco, era chiamato a stabilire se i giudici che lo arrestarono avessero commesso, o meno, un errore.

 

L’unico capitolo che resta in piedi, e solo dal punto di vista dell’ingiusta detenzione, è quello dei rapporti con il boss Antonio Vella. “L’unico aspetto valutabile in questa sede – scrivono i giudici – è costituito dai rapporti consapevolmente intrattenuti da Mannino con il mafioso Vella per motivi elettorali e dall’avere, in particolare, accettato che costui divenisse un suo procacciatore di voti, con l’effetto di ingenerare, quindi, nella mafia agrigentina – proseguono – la convinzione che egli fosse soggetto disponibile per gli interessi dell’organizzazione, tanto che numerosi collaboratori di giustizia, in sede penale, hanno riferito di avere appreso, nell’ambito del contesto associativo (all’interno del quale si era diffusa la voce) che costui fosse politico disponibile per gli interessi dell’organizzazione mafiosa, pur non riferendo alcunché di specifico sull’argomento”.

 

(fonti: Blogsicilia.it, 19 maggio 2012; Guidasicilia, 28 maggio 2012)