Presunto innocente – Cronaca del caso Perruzza

La cronaca come genere giornalistico, secondo l’accezione corrente, appare moribonda se non già morta. Così, “Presunto innocente- cronaca del caso Perruzza” (Edizioni Tracce), nel quale Angelo De Nicola ha raccolto gli articoli sull’atroce morte della bambina di appena sette anni, Cristina Capoccitti, nonché l’accusa, la condanna all’ergastolo e la morte dello zio Michele Perruzza, da lui scritti per Il Messaggero lungo l’arco di 13 anni, potrebbe apparire – e per noi appare – l’ultima delle cronache giornalistiche del tempo più o meno recente del nostro essere cronisti.

 

Far cronaca, nel significato preciso, significa riferire i fatti nella sequenza in cui sono accaduti, e generalmente chi è adeguato a farlo è uno che vi ha assistito e ne conosce la sequenza temporale. Angelo De Nicola giornalista attento (caposervizio della redazione aquilana de Il Messaggero), per 13 anni, interessandosi come “testimone oculare” al “caso Perruzza”, che principiò nella lontana sera del 23 agosto del 1990 a Case Castella di Balsorano, ha soddisfatto tali regole, anzi ha “vissuto” il suo mestiere di giornalista entro questi precisi canoni di far cronaca. Tanto ch’egli non esprime un giudizio definitivo sul “presunto innocente” Perruzza. Non traccia conclusioni, né avanza congetture: sta ai fatti. Lascia al lettore ogni personale deduzione. Perché è solo testimone, per così dire, che ha visto.

 

Dino Buzzati, scrittore dalla fantasia fertilissima, quando faceva il cronista al Corriere della Sera (ed erano gli anni in cui scriveva “Il deserto dei Tartari”), si portava sul posto e poi in maniera asciutta e fredda riportava l’accaduto. È evidente, in simile esemplificazione, cosa sia la cronaca e cosa la funzione letteraria, oggi documentata dalla “fiction”. Infatti, attualmente la “cronaca testimoniata”, anche perché non esiste più il cronista (i giornalisti sono costretti dinanzi ai monitor per leggere le “agenzie”), è sostituita dai processi da spettacolo. Cronaca quest’ultima che richiama i romanzi dei giornali della seconda metà dell’Ottocento e del primo Novecento ospitati a puntate. Era questa la maniera in cui sono nati alcuni dei più bei romanzi della letteratura, “I fratelli Karamazov” per esempio, “I demoni”, e Dostoevskij scriveva le puntate successive tenendo conto del gradimento dei suoi lettori e naturalmente la storia (quella fantasiosa non quella reale) continuava solo se era seguita.

 

Non diversa la cronaca odierna che ha un solo linguaggio: quello della “fiction”. Con il suo “Presunto innocente”, De Nicola ha salvato il cronista e il modo di fare giornalismo che più non esiste, e del quale tutti aspettano il ritorno. Dice di aver scattato “foto” vere ed in buona fede. Stando scrupolosamente “ai fatti” che divisero e dividono innocentisti e colpevolisti, la “giustizia giusta” dalla “giustizia ingiusta”. Non trae conclusioni. Ha raccolto i suoi articoli sul “caso Perruzza” perché nell’intimo ha una convinzione tutta sua che – ne siamo certi – accomuna alla profonda pietà per Biancaneve, come chiama la piccola Cristina, la comprensione umana per un uomo giunto alla sua fine proclamando con forza: “Non accuserò mai il sangue del mio sangue”. Da “ultimo cronista” ha esposto solo fatti: “ascoltateli!”, parlano di una tragedia umana che nulla ha a che vedere con la “fiction” cui ciascuno di noi può “montare” nel proprio teatrino dell’esistenza.

 

(Fonte: Amedeo Esposito, Il Messaggero, 17 giugno 2003)