“La compagnia Teatro Arte-Azione organizza corsi di recitazione…”. Quasi non ci sarebbe bisogno di pubblicità, per una scuola che a Pescara è già ben conosciuta. Gli allievi non mancano, soprattutto per il nome del titolare: Francesco Mazzullo è nato a Catania e ha soltanto 26 anni, ma può vantare un curriculum che farebbe invidia a qualsiasi aspirante attore della sua età. L’esordio a 15 anni, al Teatro Stabile di Catania, con la commedia “Tutti per uno”, per la regia di Peppe Nicolosi. Poi le esperienze con Enrico Maria Salerno, Turi Ferro, e un salto nel varietà con Pippo Baudo. Decine di spettacoli, trasmissioni su emittenti locali da conduttore, stages di specializzazione per l’insegnamento della recitazione. Sposato con Annarita, una scenografa che lavora con lui nella scuola, è padre di una bambina di sei anni. I suoi contatti con la Rai stanno per concretizzarsi: è questione di qualche giorno, poi dovrebbe finalmente arrivare quel contratto che sta aspettando. E che invece non firmerà mai.
“La mia Valentina è poco socievole, ha bisogno di comunicare, forse voi potete aiutarla”. Sembra convinta, la madre di questa sedicenne che a Mazzullo appare subito impacciata, timida, introversa: l’iscrizione alla scuola di teatro risolverà tutti i problemi della figlia. Per farle coraggio, poi, ha spinto un’amica della ragazza a frequentare anche lei i corsi di recitazione. Si comincia da subito. Un’ultima formalità: la firma di un impegno a versare ratealmente la quota di adesione.
Valentina e la sua amica parteciperanno solo a tre lezioni. A partire da novembre, infatti, i loro colleghi non le vedranno più. “Forse non hanno legato con gli altri allievi – pensa Mazzullo – o forse è questione di soldi”. Nel contratto di iscrizione alla scuola è inserita una clausola secondo cui se non si rispetta la scadenza di una rata, l’aspirante attore è tenuto a versare subito l’intero importo dovuto. Nulla di insolito, solo una prassi seguita da gran parte delle scuole per coprire le spese relative al materiale didattico.
La conferma che le due ragazze non intendano più rispettare gli impegni arriva dalla necessità di ricorrere a un decreto ingiuntivo. Dopo otto mesi e diversi solleciti, Francesco Mazzullo è costretto a rivolgersi al suo avvocato per cercare di ottenere il denaro dovuto. Ma non è sufficiente.
Luglio ’86, due uomini si presentano alla segreteria della scuola. Nuove iscrizioni in vista? Tutt’altro. “Ci deve seguire in questura, il dirigente della squadra mobile le deve parlare”. Motivo? “C’è una denuncia nei suoi confronti, intanto ci consegni i registri dei suoi iscritti”. Prima di riuscire a capirci qualcosa, Mazzullo deve sottoporsi alle foto segnaletiche e alla rilevazione delle impronte digitali. Poi, finalmente, conosce l’accusa: atti di libidine nei confronti di una minorenne. Qualcuno lo ha denunciato: i genitori di Valentina. Dicono che la figlia ha raccontato dettagliatamente i rapporti cui il suo insegnante l’avrebbe costretta, in un’aula della scuola. Inutile cercare di difendersi, la tesi della macchinazione per non pagare la retta del corso non viene neanche presa in considerazione.
Mazzullo torna a casa, è incensurato e il magistrato non ha ancora formalizzato l’imputazione. Lo farà tre mesi più tardi e il mandato di cattura parlerà di “atti di libidine violenta”. Quaranta giorni agli arresti domiciliari, mentre quotidiani e telegiornali gridano al “mostro”. Le conseguenze sono pesanti: Mazzullo è costretto a sciogliere la compagnia teatrale e a chiudere la scuola. Quasi tutti gli amici si allontanano, non basta la recente nascita del secondogenito Flavio a impedire che la moglie lo abbandoni.
L’attesa per la sentenza di primo grado dura quattro anni. Per il Tribunale di Pescara l’attore è colpevole e va condannato a un anno e quattro mesi di prigione, ma il fatto di non avere precedenti gli consente di beneficiare della sospensione condizionale della pena. Il secondo capitolo della vicenda si chiude in appello a L’Aquila, nel maggio del ’93, con la conferma della condanna. L’ultima speranza prende corpo a Roma: la Cassazione dispone l’annullamento del verdetto e rinvia ai giudici di appello della capitale il nuovo giudizio. Dieci anni dopo, il racconto della ragazza si dimostra completamente falso. Frutto della fantasia di una sedicenne.