Con la “v” di Verona

Tre mesi di ingiusta detenzione con l’accusa di essere un narcotrafficante. Ma il suo cognome era stato capito e trascritto male durante un’intercettazione telefonica: gli investigatori cercavano un “Antonio Fava”…

SCHEDA

Antonio Faba

Pescara (Pescara)
  • Anno
  • 1995
  • Reato
  • Traffico di sostanze stupefacenti
  • Avvocato
  • Augusto Cosentino
  • Giorni di detenzione in carcere
  • 90 (carcere)
  • Errore
  • Intercettazioni telefoniche
  • Risarcimento
  • Richiesto

Un viaggio d’affari in Sicilia nel dicembre 1993. Antonio Faba, 45 anni, consulente informatico di Teramo, ma residente a Pescara, si reca a Catania per motivi di lavoro. Lì, secondo la Criminalpol, si incontra con esponenti delle famiglie siciliane Lombardo, Caruano e Ambrosio, tutte dedite allo spaccio di stupefacenti. Gli investigatori quindi cominciano a tenerlo d’occhio.

Pedinamenti, informazioni sulla famiglia, intercettazioni telefoniche. E proprio dalle registrazioni, effettuate nei diversi mesi d’indagine, arrivano le prove schiaccianti. Faba parla spesso di vini che devono arrivare o essere spediti. E dalle informazioni in mano alla Criminalpol e all’Fbi americana, risulta che nel giro del narcotraffico c’è anche un enologo pescarese.

Il 15 settembre 1994 l’operazione della polizia scatta in tutta Italia. Vengono emessi, in varie località della penisola, 84 ordini di cattura. Uno di questi è recapitato anche in via del Santuario, a Pescara, dove Antonio Gabriele Faba abita con la moglie e un figlio di nove anni.

Da Pescara gli agenti della squadra mobile lo trasferiscono nel carcere romano di Regina Coeli. Faba trascorre la prima settimana in isolamento, poi viene spostato in una cella con altri cinque detenuti.

Dopo tre mesi, il Tribunale della Libertà di Catania esamina il ricorso del legale di Faba, l’avvocato Augusto Cosentino. Il giudice ritiene insufficienti gli indizi a carico dell’abruzzese e decide per la scarcerazione. Gli inquirenti cercavano Antonio Fava, con la “v” di Verona, e non Antonio Faba. L’errore è stato commesso da chi, intercettando le telefonate di un trafficante di droga, ha fatto confusione tra due cognomi simili.

Sulla vicenda, l’onorevole Antonio Saia, del Partito popolare, presenta un’interrogazione al ministro di Grazia e Giustizia, Alfredo Biondi, “per fare chiarezza su come sia potuto accadere un così grave errore giudiziario, se e come si intenda ovviare al grave danno arrecato alla persona, all’immagine e all’attività lavorativa del signor Antonio Faba di Pescara, ingiustamente arrestato e assai più ingiustamente trattenuto in carcere per tre mesi”.