Giallo Yara, Mohamed Fikri risarcito per ingiusta detenzione con 9 mila euro

Una traduzione sbagliata di un’intercettazione telefonica lo ha scaraventato sulle prime pagine dei giornali e sulle tv nazionali con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio. E ora, dopo quasi quattro anni, Mohamed Fikri ha ottenuto dalla Corte d’appello di Brescia un risarcimento di 9 mila euro per ingiusta detenzione.

 

LA STORIA Quattro dicembre del 2010: Fikri finiva in carcere per l’omicidio della giovane di Brembate, per un’intercettazione telefonica tradotta in modo sbagliato. Sette dicembre del 2010: il giovane marocchino veniva scarcerato su richiesta del pubblico ministero, dopo quattro nuove traduzioni. Dalla prima «Allah, perdonami, non l’ho uccisa io» si era passati a «Allah, fa che risponda». Ci sono voluti 980 giorni perché venisse completamente scagionato, passando da un’accusa di omicidio a una di favoreggiamento, quattro udienze, 16 traduzioni della frase che lo aveva incriminato, accertamenti scientifici. Fino a che, nell’agosto del 2013, il fascicolo a suo carico è stato definitivamente riposto negli scaffali degli archivi perché «il fatto non sussiste».

 

Ora l’immigrato ha ottenuto la riparazione per l’ingiusta detenzione di quei tre giorni nel carcere di Bergamo, con i riflettori puntati addosso per il delitto della bambina di Brembate Sopra. La Corte d’Appello di Brescia ha deciso che gli spetta una cifra attorno ai 9.000 euro, anche se secondo indiscrezioni la richiesta era molto più alta. Lui si trincera dietro a un «non voglio parlare più di questa storia». È in Italia, ha ottenuto il permesso di soggiorno «ma il lavoro ancora no. Non è cambiato molto da prima», sono le uniche frasi che concede. A seguirlo nella pratica per la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione in sede penale è stato uno studio legale (non di Bergamo) diverso da quello dell’avvocato Roberta Barbieri, che lo aveva assistito in tutta l’odissea giudiziaria, dal fermo fino all’archiviazione. «Non ce ne siamo occupati noi, quindi per correttezza non diciamo nulla», taglia corto l’avvocato Barbieri. Ma il filo di fiducia che lega Fikri con il legale di Bergamo non è stato tranciato. È probabile, infatti, che sia ancora lo stesso a occuparsi di un’eventuale causa civile per il risarcimento dei danni. L’avvocato «storico» lo aveva detto, all’indomani dell’archiviazione: «Chiederemo il risarcimento allo Stato anche per il danno di immagine ed esistenziale recato al nostro assistito». C’è cautela, ma la prospettiva è la stessa: «Stiamo valutando», è la risposta.

 

L’ombra del dubbio su Fikri è rimasta a lungo. Prima perché il pm aveva affidato le quattro nuove traduzioni a interpreti improvvisati che si trovavano in procura per sbrigare pratiche personali. Che garanzia potevano dare rispetto a due traduttrici che già lavoravano per procura e carabinieri? Persino Maura, la mamma di Yara, in udienza, aveva detto: «Com’è possibile che ci siano diverse traduzioni?». Poi nel vortice delle interpretazioni sono entrati esperti della materia. Ma, mentre quelli nominati dal pm e dalla difesa hanno tradotto con significati che scagionavano Fikri, quella della famiglia Gambirasio ha sentito una parola con la radice del verbo uccidere. Un rompicapo. Fino a quando il giudice delle indagini preliminari ha nominato un perito, un traduttore super partes, che ha escluso il verbo uccidere. Al telefono – è la sua traduzione – Fikri disse: «Facilitami in una partenza per il Marocco, mio Dio, mio Dio». Vicenda giudiziaria finita. Non quella personale, a sentire l’immigrato, che non ha ancora trovato la sua normalità e che per questo motivo ha chiesto il conto allo Stato.

 

(fonte: Corriere della Sera, 1 ottobre 2014)