Oltre 500 storie poco note di errori giudiziari raccolte in un sito-archivio

Se fosse un film all’italiana riadattato si chiamerebbe “Dentro la notizia dell’errore giudiziario”. La trama: due giornalisti che cercano di raccontare le storie che hanno di fronte con assoluto distacco dalle tribune politiche, ma guardando all’aspetto puramente umano dei protagonisti “vittime” dell’errore o dell’ingiusta detenzione.

E soprattutto, cercando di capire perché e dove, storia per storia, la giustizia ha sbagliato. Non è un film, è la realtà. Anzi, la mission tutt’altro che impossibile, portata avanti dai giornalisti Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi, prima autori, nel 1996, del libro “Cento volte ingiustizia – Innocenti in manette”, e oggi titolari del primo database online italiano sugli errori giudiziari e le ingiuste detenzioni.

Un mondo sconosciuto

Entrare in errorigiudiziari.com per certi versi significa affacciarsi in un mondo nuovo e sconosciuto, lontano dai riflettori. Quasi cinquecento storie raccolte e almeno altrettante ancora da inserire nel database, raccontano delle disavventure con la legge di gente comune, di cui i media spesso poco parlano. Ma in tutti questi casi a essere eloquenti sono le stesse storie unite da un destino che ha fatto trovare i protagonisti, da un capo all’altro dell’Italia, faccia a faccia con una giustizia ingiusta.

Dal 1994 Maimone e Lattanzi fanno coppia fissa in questo percorso professionale. Hanno iniziato raccogliendo in un libro, ben cento storie, ambientate nel lungo periodo intercorso dal dopoguerra ai giorni nostri. “Abbiamo raccontato vicende poco note – spiega Valentino Maimone – escludendo di proposito il caso Tortora, già ampiamente trattato e mediaticamente conosciuto. Si tratta di spaccati, pezzi di cronaca ricostruiti con l’unico intento di sollevare una riflessione approfondita su una delle più attuali e delicate questioni della giustizia”.

L’autore spiega che il libro è frutto di un anno e mezzo di lavoro, che oltre alla cronaca ha visto la testimonianza di tutti quelli che possono essere i protagonisti di un processo. Dunque l’ingiustizia analizzata da tutte le angolazioni possibili. C’è infatti l’intervento di quattro addetti ai lavori: l’accusa rappresentata dal giudice Ferdinando Imposimato, la difesa, nella persona dell’avvocato Carlo Taormina, docente di procedura penale presso l’Università di Tor Vergata di Roma, Severino Santiapichi, per anni presidente della Corte d’Assise di Roma, ex procuratore generale presso la Corte d’Appello di Perugia, e Renato Borruso, ex magistrato della Corte di Cassazione.

Un sito-database

Dopo l’uscita del libro, le due “penne” hanno continuato nella missione professionale archiviando tutti i casi in cui si imbattevano con un unico criterio: offrire una documentazione il più possibile completa, verificata e asettica sulle ingiuste detenzioni, riconosciute nel 90 per cento dei casi e dunque risarcite, e sugli errori giudiziari. Una distinzione, quella tra ingiusta detenzione ed errore, quasi mai data per scontato da chi per mestiere si occupa di giornalismo giudiziario: “La parola errore giudiziario – fa notare infatti l’autore del sito-database – viene infatti spesso usata in modo forzato e strumentale, anche se non c’è stata una sentenza di proscioglimento a seguito di un processo di revisione nei confronti della presunta vittima.

Ci vorrebbe una maggiore cautela su questo tema, e l’informazione non dovrebbe mai piegarsi ad alcuna strumentalizzazione politica”. Ecco perché su “errorigiudiziari.com” non sono prevalenti i casi legati a vicende politiche (Tangentopoli e non solo). A parlare devono essere le storie, le vicissitudini della gente comune, la frustrazione e la paura di chi ingiustamente è finito in manette senza sapere, a volte, neppure perché la giustizia li abbia puniti.

In quindici anni di attività, i due giornalisti, ne hanno viste e raccontate davvero tante, diventando testimoni e portavoce di chi si sentiva senza difesa in questo terribile tranello. Maimone ricorda la storia di quel ragazzo che, all’epoca dell’omicidio D’Antona fu accusato di essere un presunto telefonista delle nuove Brigate Rosse.

“Prosciolto prima ancora di arrivare davanti al giudice per le indagini preliminari, e con tante scuse degli inquirenti – rivela il giornalista – quel giovane mi ha raccontato i terribili attimi in cui è stato caricato su un cellulare dei carabinieri dopo essere stato ammanettato”. Dietro, attraverso le grate dei finestrini, il “telefonista” vedeva la sua città, Roma, scomparire lentamente. Passando da piazza Venezia e dai luoghi simbolo della Capitale, aveva già la sensazione di non rivederli più. n sole filtrava da quelle grate, con lo stesso effetto che avrebbero avuto su di lui le sbarre del carcere. E ancora oggi, dopo essere stato scagionato, l’uomo non riesce, quando è in macchina, a stare sui sedili posteriori, perché quel trauma l’ha profondamente segnato.

Errore in agguato

La paura, lo choc, sono comuni alle vittime dell’errore: “Sono in tanti – spiega – a raccontarmi di avere il terrore nel sentire suonare il citofono di casa, ricordando quel blitz notturno dei carabinieri prima di essere accusati di qualcosa di cui non avevano neppure una lontana idea”.

Come il caso, racconta ancora il giornalista, di un ragazzo alto, biondo, con gli occhi azzurri, che ha passato in cella una settimana senza sapere perché. E quando si è trovato davanti al pm che stava indagando lo ha sentito urlare “Liberate subito quest’uomo!”.

Perché l’identikit dell’accusato riguardava un uomo moro e più basso, insomma, evidentemente diverso e riconoscibile anche a un superficiale colpo d’occhio. E ancora, casi di omonimia, furti identità, decine di sprazzi di errori. E la “cosa sconvolgente”, spiega Maimone, è che “si continua a sbagliare senza trovare il modo di arrestare questa spirale”.

Una normativa sulla responsabilità civile dei magistrati, di cui giacciono molte proposte in Parlamento e di cui si è parlato nel dibattito politico recente, potrebbe cambiare le cose? “Non so se questa sia l’unica strada per risolvere la questione – afferma Maimone – ma voglio andare oltre.

È vero che i procedimenti disciplinari di fronte al Csm si contano sulla punta delle dita, e che nel caso di una colpa clamorosa il giudice dovrebbe in qualche modo pagare l’errore, lo dice anche un referendum votato dai cittadini che è rimasto lettera morta.

Ma è anche vero che i magistrati dovrebbero essere messi in condizione di lavorare con i mezzi e le risorse di cui hanno bisogno”. Ma al centro della scena, tra gli errori dell’uno o dell’altro protagonista del processo e la stampa che spesso, in maniera affrettata sbatte il mostro in prima pagina, devono restare le vittime, gli “innocenti in manette”.

Del resto “il medico, magistrato e giornalista”, si fa notare nella prefazione del libro di Maimone e Lattanzi, “sono i rappresentanti delle tre corporazioni alle quali il cittadino affida la tutela della salute, della libertà e dell’onore. Per questo, quando queste categorie professionali cadono in errore, le conseguenze finiscono per avere un’incidenza maggiore sulla vita della gente”.

Le statistiche confermano che negli ultimi quindici anni sono state completamente scagionate oltre trecentomila persone. Soltanto tra il 1990 e il 1994, sono state quasi 24mila e 500 le sentenze definitive pronunciate con la formula più ampia per l’imputato: non aver commesso il fatto. Ad esse vanno aggiunti altri 73.326 imputati assolti con una formula altrettanto liberatoria, ma più tecnica: “il fatto non sussiste” o “non costituisce reato”.

(fonte: Valentina Marsella, il Secolo d’Italia, 16 novembre 2011)