il libro di Diego Olivieri Oggi a me domani a chi

Oggi a me domani a chi?

Uno sfogo lucido e impietoso sui mali della giustizia inquirente lungo 257 pagine. A scriverle è Diego Olivieri, un presunto colpevole, catturato con l’infamante accusa di essere un favoreggiatore della mafia. Del potente clan dei Rizzuto che sovraintende il traffico di droga dall’America in Italia, tramite il Canada. Il libro di Diego Olivieri è stato scritto per lo più in carcere, in cui c’è dentro la disperazione dell’uomo innocente che per un anno mette tra parentesi la vita normale: detenuto in attesa di giudizio. Isolato dal mondo in mezzo ai boss di Cosa Nostra. Come Brusca, Greco, i casalesi e 94 ergastolani. C’è dentro la rabbia di chi si sente stritolato nel nome di quello Stato di diritto che a volte prende granchi paurosi. Ma c’è anche dentro la speranza, dopo l’assoluzione con formula piena scandita dal tribunale di Roma dopo cinque anni di sospetti il 23 novembre 2012, che simili errori non accadranno più, consapevoli, purtroppo, che non succederà. Perché sbagliare è umano, anche se è facile scriverlo, quando non sei tu a raccogliere il sacco nero alla matricola, all’ingresso in carcere.

il libro di Diego Olivieri Oggi a me domani a chi
La copertina di “Oggi a me domani a chi?”, di Diego Olivieri.

Chi è Diego Olivieri? Un benestante mediatore di pellami da tre generazioni che dichiara un alto imponibile e viene arrestato per telefono una maledetta notte di ottobre del 2007. Per telefono? Gli investigatori della Dia sbagliano indirizzo e vanno a casa di mio figlio Christian, che alle 3.30 mi butta giù dal letto. “C’è un maresciallo per te”. Me lo passa. Dopo pochi minuti è a casa mia. Incomincia l’incubo. Subito non capisco, penso a un errore, comincio a leggere l’ordine di custodia in cui si parla di mafia, e penso che siano dei pazzi. Iniziamo dalla fine. Perché un libro? Mia figlia Cristina, sì io e mia moglie non abbiamo avuto molta fantasia coi nomi, fa la psicologa e fu lei a consigliarmi di stendere un diario di bordo per farmela passare in carcere. Una sorta di terapia. Mettiamola così, un memoriale di un anno di cella ad alta sicurezza in mezzo ai mafiosi, dove io stesso per farmi accettare da loro ho dovuto fingere. Adesso ho costituito una onlus e con i soldi ricavati vorrei costruire un ospedale in Tanzania.

Tutto ha inizio quasi sei anni fa. Lei conosce Felice Italiano, l’unico degli arrestati accusato di essere uomo legato alla famiglia mafiosa dei Rizzuto condannato in primo grado a 5 anni. Era uno dei miei clienti. Andavo a trovarlo in Canada per lavoro e lui veniva alcune volte in Italia. Un normale rapporto. Lui era seguito dall’Fbi. Lui viene intercettato e lei finisce nel girono dantesco della malagiustizia. Un giorno, nel 2006, succede che la concessionaria che mi ha venduto l’Audi mi dice che deve ritirarla per un possibile problema al cambio. Gliela porto, ovviamente non sospetto nulla, e i detective della Dia inseriscono la microspia. Il primo interrogatorio a Roma col pm antimafia? Mi dice, “Olivieri le chiediamo di collaborare per evitare guai peggiori”.

 

(Fonte: Giornale di Vicenza, 30 agosto 2013)