Marcello Maddalena, procuratore di Torino

Cinque domande a Marcello Maddalena procuratore di Torino

Dottor Marcello Maddalena, lei è capo di una procura (quella di Torino) fra le più grandi d’Italia e sa bene quanto sia diventato difficile colpire i reati. Eppure, ad ogni caso clamoroso di cronaca, ci si stupisce che non si riesca a far giustizia. 

“I magistrati sono uomini e la fallibilità fa parte del genere umano, però, senza entrare nei singoli casi, giuste o sbagliate che siano le scelte di pm e giudici, tutto ciò è in gran parte frutto di una legislazione che, dal ’92 in poi, è stata molto indulgente e restrittiva rispetto all’applicazione di misure cautelari detentive”.

 

Che intende dire? 

“Nella prassi è quasi scomparsa la distinzione fra la prova e la gravità degli indizi. Prima di richiedere o emettere una misura di custodia cautelare in carcere si esige di ottenere contro un indagato la quasi sicurezza di poterlo condannare. Guardiamo l’altra faccia della questione: se poi uno viene assolto, si solleva il problema delle garanzie e lo Stato rischia di risarcire quella persona per ingiusta detenzione”.

 

Sotto accusa è finita l’apparente discrezionalità di certe decisioni.

“Con le attuali norme non è sufficiente il pericolo che un indagato reiteri un reato. Lo si deve desumere da elementi concreti. Detto ciò, è ovvio che vi siano margini di discrezionalità valutati caso per caso. Vorrei aggiungere, però, rispetto ai reati colposi gravi, che vi sono casi in cui la misura della custodia cautelare è applicabile. Penso agli infortuni sul lavoro causati da omissioni di cautele che rendono prevedibile il loro ripetersi”.

 

E per un caso come quello della ragazza di Pinerolo investita e uccisa da un automobilista ubriaco, che cosa pensa il dottor Marcello Maddalena? 

“Gli arresti domiciliari sono una forma di detenzione. La vulgata popolare non li considera tali, anche perché c’è sfiducia che lo Stato riesca a garantire l’effettività del provvedimento. Ma per il legislatore lo sono”.

 

E l’automobilista ubriaco? 

“E’ agli arresti in una parrocchia, come vuole la legge. Aggiungo che pure la magistratura deve riflettere sull’importanza dei reati colposi, specie se commessi sotto l’effetto di stupefacenti o dell’alcol. E che sarebbe sbagliato ignorare le esigenze di sicurezza della gente, soprattutto di chi resti vittima di reati”.

 

(fonte: Al. Ga., La Stampa, 12 agosto 2007)

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