«Maledetti, 22 anni dietro le sbarre. Ora lo Stato mi deve 69 milioni»

Lo portarono via il 13 febbraio del ’76. Lui ancora non lo sapeva, ma lo accusavano di un duplice omicidio: l’assassinio di due carabinieri diciottenni avvenuto ad Alcamo, in provincia di Trapani, il 27 gennaio di quell’anno. A puntare l’indice contro Giuseppe Gulotta, all’epoca quasi coetaneo delle vittime, era un suo amico, Giuseppe Vesco. Nell’auto di Vesco erano state trovate due semiautomatiche Beretta calibro 9 con i numeri di matricola abrasi, lo stesso tipo di armi sottratte ai due militari trucidati. Anni dopo si scoprì che la «confessione» di Vesco era stata ottenuta con il waterboarding e scosse elettriche con un telefono da campo.

Un «trattamento» simile a quello che toccò a Gulotta, che ha trascorso in carcere 22 anni da innocente prima che la sua estraneità venne riconosciuta grazie alla revisione del processo. Ora Gulotta chiede un maxi risarcimento, 69 milioni di euro, la somma più alta mai pretesa per ingiusta detenzione.

 

Che successe quel giorno signor Gulotta?

«Lavoravo e avevo fatto domanda per entrare in Guardia di Finanza. Quel giorno mi portarono in caserma “per informazioni”. Solo dopo mi dissero di cosa ero accusato. Fui picchiato tutta la notte, pugni calci e una pistola puntata in faccia per farmi paura…».

 

E poi?

«La mattina seguente mi sentii male,non mi reggevo in piedi e cedetti. “Ditemi quello che devo dire e ve lo dico”, li supplicai. Non ce la facevo più e mi sono autoaccusato per non prendere altre botte».

 

Chi l’ha picchiata è stato punito?

«Molto dopo, il pm ha chiesto l’archiviazione perché il reato era stato prescritto».

 

Andiamo avanti…

«Mi portarono nel penitenziario di San Giuliano, a Trapani. Il pomeriggio vidi il pm e ritrattai la confessione. Raccontai delle percosse. Ma non mi credette. Due anni e tre mesi più tardi fui scarcerato per decorrenza dei termini. Mi trasferii a Certaldo, in Toscana, e trovai lavoro come muratore. Poi ci fu il processo e in primo grado venni assolto per insufficienza di prove».

 

Gulotta, che sulla strage di Alcamo ha scritto il libro “Alkamar”, dal nome della caserma nella quale furono uccisi i due carabinieri, ha subito quattro processi in Corte d’appello e quattro in Cassazione. Risultato finale: condanna definitiva all’ergastolo.

 

Quando tornò in carcere?

«Nel ’90. Mi misero in cella a San Gimignano, dove rimasi fino al 2010, quando ottenni la condizionale ».

 

Come si scoprì che era innocente?

«Nel 2007, durante la trasmissione “Blu Notte” si disse che tutti i presunti autori della strage erano stati assolti. Provai a contattare la Rai per precisare la notizia e scoprii che alla trasmissione era arrivata una mail di due righe per me molto importante».

 

Che diceva?

«”Ho qualcosa da dire sulla strage di Alcamo”. Nel 2008 la procura di Trapani ascolta l’ex maresciallo dell’Arma Renato Olino, che racconta dei metodi usati per far parlare Vesco. Chiedo di essere ascoltato anche io. Lo fanno e racconto tutto, anche delle torture».

 

E arriviamo alla revisione, per la quale si è affidato all’avvocato Baldassarre Lauria.

«Esatto. Parte la richiesta, che viene accolta. Dopo 23 udienze, il 13 febbraio 2012, a Reggio Calabria vengo assolto per non aver commesso il fatto. Esattamente dopo 36 anni dalla mia carcerazione».

 

Lei ora chiede 69 milioni di euro per i danni materiali ed esistenziali subiti. A parte le conseguenze economiche della sua ingiustacarcerazione, che cosa ha perso in questi anni?

«Oltre alla libertà, ovviamente, mi brucia non aver visto crescere mio figlio William. Nell’86 avevo conosciuto mia moglie, che aveva già tre figli, e nell’88 è nato William. Ma due anni dopo sono tornato in cella…».

 

È arrabbiato?

«La rabbia con il tempo mi è passata. Io sono una persona tranquilla. Ma la notte spesso mi sveglio di soprassalto e interrompo il mio incubo ricorrente: i carabinieri che vengono a prendermi e mi portano in prigione».

 

(fonte: Maurizio Gallo, il Tempo, 16 settembre 2013)