Le “insonnie” di Roberto Saviano, i placidi sonni dei magistrati. Tre storie esemplari

Dice Roberto Saviano su Twitter che se fosse un giudice “non dormirei la notte a dover comminare pene che diventano torture e in alcuni casi condanne a morte”. Ed è probabile che, per questa sua “insonnia”, Saviano sarebbe un buon giudice. Dormono invece placidi i giudici, e siamo noi, i cittadini, ad averli agitati.

 

Dorme, si direbbe, sonni tranquilli quel Giudice per l’Udienza Preliminare di Milano che ha tardato un anno con le motivazioni, cosicché una trentina di trafficanti di droga tornano in libertà.
Erano stati condannati, un anno fa, a pene fino a 14 anni per aver importato in Italia centinaia di chili di cocaina dall’Ecuador e dal Perù. Per una quindicina di loro, è arrivato un regalo inatteso: la decorrenza dei termini di carcerazione, e sono tornati in libertà. Leggiamo la “notizia”: “A un anno esatto dalla condanna, lo scorso 10 febbraio 2010, non è arrivata, come prevede il codice di procedura penale, la sentenza d’Appello. Il gup Franco Cantù Rajnoldi, che aveva accolto le richieste del pm Giuseppe D’amico della Direzione distrettuale antimafia ed era stato severo nelle condanne a 31 membri dell’organizzazione accusati di traffico internazionale di droga, non ha ancora depositato la motivazione della sentenza e il processo di secondo grado non è partito. Così, una quindicina di reclusi con pene inferiori a dieci anni è tornata in libertà…”.

 

Hanno dormito sonni tranquilli anche quanti si sono occupati della vicenda che vede protagonista suo malgrado il signor Angelo Cirri.
Cirri ha trascorso tre anni e otto mesi in carcere, accusato di quattro rapine, mai commesse. Anni che Angelo Cirri, ora assolto da ogni accusa in un processo di revisione, avrebbe potuto vivere da uomo libero, anche perché la prova della sua estraneità era saltata fuori già due mesi dopo l’arresto. Vediamo al dettaglio.

 

Il 9 aprile 2004 le forze dell’ordine irrompono a casa di Cirri convinti di aver inchiodato l’autore di 13 rapine nella zona di Grottaferrata. L’uomo, come è tradizione, viene ammanettato davanti ai figli e portato in caserma in pigiama. A “incastrare” Cirri c’è il racconto di una delle presunte vittime. Un dettaglio però non torna: il rapinatore, stando alla testimone, parlava campano, Cirri è romano. Particolare insignificante, per gli investigatori: l’accento si poteva mascherare.

 

A mettere nei guai Cirri una coincidenza. Il testimone ricorda che il rapinatore aveva spento una sigaretta della stessa marca che fumava Cirri. Così scatta il fermo. Due mesi dopo i risultati del Dna sul mozzicone accertano però che il codice genetico sulla sigaretta non è compatibile con quello di Cirri, la sigaretta l’aveva fumata qualcun altro. Finisce qui? No, Cirri viene comunque rinviato a giudizio con l’accusa di aver compiuto quattro delle tredici rapine della serie. Processo con una sola, sbrigativa udienza, verdetto: 13 anni di reclusione. È la fine del 2005. Cirri si continua a proclamarsi innocente. Il 6 novembre del 2006 la Corte d’Appello riduce la pena a otto anni e dispone la scarcerazione di Cirri. Per un vizio di forma.

 

Nel novembre del 2007 la sentenza diventa definitiva, Cirri si costituisce, torna dentro, «perché sono uno che rispetta la legge». L’uomo resta in cella. Il 3 ottobre del 2008 viene arrestato Antonio Di Pasquale, accusato (ma poi prosciolto) di aver ucciso una guardia giurata per rapina. Gli viene fatto il test del Dna e si arriva alla verità: Di Pasquale è il vero colpevole delle rapine attribuite a Cirri, che il 3 novembre del 2008, dopo essere stato in cella tre anni e otto mesi, torna libero. Se Di Pasquale non fosse stato arrestato, Cirri sarebbe ancora in carcere, per una sigaretta mai fumata, per rapine mai commesse.

 

Dormono sonni tranquilli i magistrati di cui parla Chiara Rizzo (“Giustizia: i magistrati commettono sempre più reati, aumentano violazioni di norme processuali”), in un servizio per il settimanale “Tempi” che si preferisce ignorare (e si capisce).

 

“I magistrati commettono sempre più reati e aumentano le violazioni delle norme processuali”. Lo ha detto il Pg di Cassazione, che svolge le indagini preliminari entro un anno dall’acquisizione della notizia di illecito. Come funzionano i procedimenti disciplinari alle toghe: il Csm è titolare dell’azione disciplinare che avvia su impulso del Ministero della Giustizia (che però ha la discrezione dell’azione penale) e della procura generale della corte di Cassazione (che invece ha l’obbligo dell’azione penale). Quest’ultimo organo svolge la funzione di pm nei procedimenti a carico dei magistrati, un po’ come avviene anche nei tribunali penali: il pg di Cassazione svolge le indagini preliminari entro un anno dall’acquisizione della notizia di illecito. Entro due anni il pg presenta un decreto di archiviazione, o la richiesta di procedere a dibattimento presso il Csm, che a sua volta è tenuto a pronunciarsi entro altri due anni.

 

Le sanzioni previste vanno dall’ammonimento (un richiamo all’osservanza dei doveri del magistrato) alla censura (il richiamo per i casi più gravi), alla perdita dell’anzianità professionale per un massimo di due anni, fino alla sospensione dall’attività di magistrato e dallo stipendio, e alla rimozione. Non sono ancora disponibili però i dati dei procedimenti conclusi negli ultimi due anni.

 

I procedimenti avviati nel 2011
Vitaliano Esposito, attuale procuratore generale della Cassazione nella relazione d’apertura dell’anno giudiziario 2012 ha illustrato i dati relativi ai procedimenti avviati nel 2011.
Nel 2011 alla procura generale sono arrivate 1.780 notizie di possibile rilevanza disciplinare (+28,8 per cento rispetto al 2010). Il settore pre-disciplinare della Corte di Cassazione, che valuta sui singoli casi, ne ha definiti 1.441: nel 93 per cento si sono chiusi con un’ archiviazione; nel 7 per cento con l’avvio di azione disciplinare. Sono ancora pendenti 861 casi.
Il settore disciplinare, che avvia l’azione dopo le valutazioni del pre-disciplinare, ha chiuso le indagini in 134 casi: il 51 per cento chiusi con la richiesta di discussione orale (al Csm), il 43 per cento con la “richiesta di non farsi luogo”, e il 6 per cento con “riunione ad altro procedimento”. La pendenza media dei procedimenti è passata dai 348 giorni nel 2010 ai 405 giorni nel 2011: a fine anno erano pendenti 157 procedimenti, di cui 37 per “pregiudiziabilità penale”. I magistrati oggetto di procedimenti disciplinari nel 2011 sono stati nel 72 per cento dei casi giudicanti, nel 28 per cento requirenti.

 

I capi d’accusa
Su un totale di 169 incolpazioni presentate dalla Procura generale nel 2011 (e comprendenti anche casi del 2010): al primo posto, con 45 casi (27 per cento del totale), i ritardi nel deposito di provvedimenti (-27 per cento rispetto al 2010, con 62 casi); al secondo posto, 26 casi, la violazione di norme processuali penali o civili da parte del magistrato (15 per cento del totale; invariato rispetto all’anno precedente); al terzo posto, 23 casi, la commissione di reati (ingiuria, diffamazione, altro) da parte dei magistrati (14 per cento del totale); 16 i casi di ritardi e negligenze nell’attività d’ufficio (il 9 per cento del totale; nel 2010 erano il 4 per cento); 9 i casi di provvedimenti abnormi presi dal magistrato (il 5 per cento, nel 2010 erano il 2 per cento); 9 i casi di abuso della qualità o funzione di magistrato (il 5 per cento, nel 2010 erano il 2 per cento).

 

Misure cautelari

Nel 2011 la Pg di cassazione ha chiesto l’applicazione di misure cautelari per nove magistrati. Il ministero della Giustizia ne ha fatto richiesta per altri tre magistrati. La sezione disciplinare del Csm in questi casi ha adottato l’ordinanza di trasferimento provvisorio per cinque magistrati, e il trasferimento d’ufficio per gli altri sette.

Nessun commento da parte del presidente e del segretario dell’Associazione Nazionale dei Magistrati. E poi dici che uno s’incazza.

 

Valter Vecellio

 

(Notizie Radicali, 13 febbraio 2012)