"Io, detenuto innocente. Per professione…"

Condannato per un crimine che non ha commesso; ma per uno che di professione fa il capro espiatorio non è un problema. Non si tratta di Benjamin Malaussène, protagonista di un ciclo di romanzi di Daniel Pennac, che svolge il ruolo di capro espiatorio come professione, ma di un perugino che si trova sempre nel posto sbagliato al momento meno opportuno.

 

Il nostro capro espiatorio ha trovato la sua strada, rischiosa perché a nessuno piace trascorrere mesi in cella ben sapendo che non ha commesso alcun crimine, ma è una via remunerativa, pagata con fior fior di euro: all’incirca un centinaio di euro per ogni giorno di carcerazione.

 

Come funziona la vita del capro espiatorio? Molto semplice. È uno del giro. Uno di cui ci si può fidare e che tutti i malviventi della città conoscono (anche le forze dell’ordine, sicuramente, ma di fronte alle dichiarazioni dell’uomo e alla confessione non si può nulla).

 

Come funziona, ecco la spiegazione. Mettiamo che una persona venga fermata e trovata in possesso di un oggetto «provento di furto». Gli investigatori chiedono: «dove lo hai preso?». «L’ho acquistato come usato» è in genere la risposta che viene fornita. Gli agenti o i militari insistono: «E da chi l’hai presa?». La risposta è pronta: «Da tizio». Nel caso in cui l’acquirente non potesse giustificare il possesso scatterebbe la denuncia per ricettazione. Indicando il venditore, al massimo, rischia la denuncia per incauto acquisto. Logicamente la “soffiata” è già concordata con la persona in questione. Già sa che se verranno a bussare i poliziotti lui avrà venduto qualcosa che non aveva mai visto.

 

Le forze dell’ordine lo conoscono questo “tizio”, è il nostro capro espiatorio. Così vanno a casa dell’uomo e approfondiscono: «È vero che hai venduto il tale oggetto a tizio?». Essendo già tutto prestabilito il nostro “Malaussène” non può che rispondere di «sì», aggiungendo anche che l’oggetto era di dubbia provenienza. Per questo scatta la denuncia per ricettazione.

 

Trattandosi di piccoli reati anche la pena è commisurata, quindi il capro espiatorio se la cava con pene tra i quattro e i cinque mesi, a volte anche solo tre mesi. Giorni di carcere che a volte vengono scontati, tra indulti, sospensioni e reati in continuazione, mentre altre volte “pagati” con il pernotto dietro le sbarre. Di sicuro vengono retribuiti da chi ha commesso veramente il reato: dai 3 ai 5mila euro per ogni singolo peccato espiato al posto di un altro. Un modo come un altro per sbarcare il lunario. In fondo vitto e alloggio sono garantiti (a fine pena il conto non è neanche salato), d’inverno c’è il riscaldamento e d’estate l’aria condizionata. Poi quando si arriva ad una certa età neanche si va più in galera.

 

(fonte: Umberto Maiorca, Giornale dell’Umbria, 23 novembre 2012)