Ingiusta detenzione, poche condanne

“La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”. Lo stabilisce il quarto comma dell’articolo 24 della nostra Costituzione . La legge in vigore è quella Vassalli, approvata nel 1988, dopo il referendum del 1987 in cui 4 italiani su 5 avevano votato per la responsabilità civile dei giudici. A offrire un bilancio dei primi 23 anni della legge è stata qualche giorno fa la relazione presentata in Commissione Giustizia della Camera da Ignazio Caramazza, Avvocato generale dello Stato .

Soltanto l’1% dei ricorsi contro magistrati per ingiusta detenzione si è risolto con una condanna. «Dai dati raccolti dall’Avvocatura dello Stato – si legge nella relazione – risultano proposte poco più di 400 cause (406 per la precisione). Di queste, 253 sono state dichiarate inammissibili, 49 sono in attesa di pronuncia sull’ammissibilità, 70 sono in fase di impugnazione di decisioni di inammissibilità e 34 sono state dichiarate ammissibili». Solo in 4 di queste si è arrivati alla condanna . Quattro condanne su 406 casi. E con un grande lavoro del filtro dell’ammissibilità che ne ha rigettate subito 253 (62%).

Secondo Caramazza: «Emerge un’eccessiva operatività» di questo filtro. Un «difettoso funzionamento della legge, che porta a una abrogazione sostanziale di parti qualificanti della norma che ne stravolgono il senso». La Commissione, che sta affrontando la riforma costituzionale proposta dal Governo, discute anche dell’interpretazione da dare al precetto costituzionale che si limita a parlare di “riparazione degli errori giudiziari”. Cioè non solo quelli commessi per colpa grave o dolo, come invece stabilisce la legge Vassalli. Il leghista Gianluca Pini ha presentato un emendamento che includa nei motivi di riparazione anche “ogni manifesta violazione del diritto”, cioè dell’interpretazione delle norme. La proposta ha suscitato molte perplessità: Il Consiglio nazionale Forense, che rappresenta gli avvocati, teme che il giudice non possa “applicare serenamente la legge”.

(fonte: Famiglia Cristiana, 21 aprile 2011)