Ingiusta detenzione, la macchia dimenticata

La riparazione pecuniaria per ingiusta detenzione è stata introdotta con l’emanazione del nuovo codice di procedura penale (D.P.R. n. 447/88) ed è regolamentata dagli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale. La custodia cautelare in carcere è ingiusta quando un imputato all’esito del procedimento penale viene prosciolto con sentenza di assoluzione diventata irrevocabile, ossia riconosciuto innocente:

 

a) per non aver commesso il fatto;
b) perché il fatto non costituisce reato;
c) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

 

La norma di civiltà prevede che chi ha subito una ingiusta detenzione vanta un vero e proprio diritto soggettivo, di ottenere una equa riparazione e l’’entità complessiva del ristoro, che ha natura indennitaria non può eccedere la somma di euro 516.456,90.

 

La norma è estremamente chiara eppure l’applicazione concreta ha diviso coloro che hanno subito la ingiusta detenzione in due categorie :coloro che hanno diritto ad ottenere l’indennizzo, dagli altri, gli ultimi, i quali non sono colpevoli, ma sono comunque rei di aver avuto delle frequentazioni discutibili.

 

Gli ultimi dati Eurispes e dell’Unione delle camere penali italiane evidenziano che in media su circa 2.500 domande annuali per il risarcimento da ingiusta detenzione circa 1/3 viene accolta le altre sono disattese dalle Corti d’Appello Il motivo del rigetto per i 2/3 delle domande è semplice : l’Italia è l’unico paese in Europa, e nel mondo dove, nel comma 1 dell’articolo 314 del codice penale, si afferma che non va concesso il risarcimento a una persona che pur essendo stata assolta abbia con un comportamento di “dolo e colpa grave” tratto in inganno gli inquirenti.

Cioè l’imputato assolto viene dichiarato colpevole di suoi comportamenti e frequentazioni .Un principio che solo in una Italia degenere poteva sortire ed avere una così ampia applicazione Una cosa incredibile e inaccettabile per uno stato di diritto. Una norma completamente anticostituzionale, in una Italia degenere che diversiva situazioni uguali dove due assolti con la stessa formula si vedono applicare una diversa ratio solo perché uno ha avuto la sfortuna di nascere in una famiglia, un luogo dove è radicata la criminalità organizzata.

 

Un vero abuso di diritto, in quanto situazioni uguali secondo l’art 3 della costituzione devono essere trattate nel medesimo modo: abbiamo tre soggetti innocenti, che hanno patito il carcere, che vengono assolti con la stessa formula piena, ma uno soltanto riceve l’indennizzo per la ingiusta detenzione, mentre gli altri non ricevono nulla, quasi che la carcerazione per loro sia frutto di un loro sbaglio, vivere in famiglie o luoghi sbagliati . Un assurdo giuridico che solo l’Italia dell’era degli imbrogli poteva conoscere.

 

Si discriminano le persone assolte e si classificano in base alle frequentazioni avute con la conseguenza che in alcune zone ad altra criminalità nessuno riuscirà ad ottenere il ristoro del danno patito perché è nato sfortunato ed ha avuto la sfortuna di vivere con delinquenti come compagni di strada, di famiglia, di conoscenza e di luogo dove vive: una condanna l’essere nato povero in una zona periferica di una grande città dove politici “avveduti” hanno creato scatoloni di case popolari, agglomerati informi di cubi dove la gente vive in “vele” e pianerottoli di una esistenza grama.

 

In tutto questo c’è una profonda ingiustizia, mentre l’escamotage del dolo e colpa grave è solo una “pezza a colore “ per coprire buchi e ferite di uno stato non più civile che sbagliando molto nel condannare innocenti non ha saputo trovare di meglio che graduare anche gli innocenti ,tra innocenti puri ed innocenti colpevoli di conoscere altri soggetti con condotta di vita non irreprensibile. Siamo allo sconforto del diritto ed alla negazione della civiltà, eppure nessuno alza un dito per dire “Io non ci sto”.

 

Michele Marra

 

(fonte: Blogtaormina, 13 ottobre 2012)