Ingiusta detenzione, Campania capitale degli arresti sbagliati

Il Tribunale di Napoli

Qualcuno che sbaglia, in questa storia, dev’esserci per forza. O chi decide che un tizio debba stare in carcere, o chi poi lo manda assolto con tante scuse. Chiunque sia a commettere l’errore, i numeri sono da brividi. E raccontano di 497 «procedimenti di riparazione per ingiusta detenzione» pendenti presso la corte d’appello di Napoli, 335 iscritti nel solo anno 2007 (ultimo dato disponibile del ministero della Giustizia prima di quelli che verranno resi noti all’inaugurazione dell’anno giudiziario).

 

Un’enormità. E, tanto per capire quanto sia alta la cifra, basti pensare che per arrivare al totale di Napoli si devono sommare tutti, ma proprio tutti, i procedimenti pendenti presso le corti d’appello di Roma, Milano, Torino, Palermo, Firenze, Genova, Catania, Bologna, Potenza, Cagliari e Trento. Le stesse Bari e Catanzaro – che pure hanno numeri record sono ben staccate nella classifica degli «arresti sbagliati»: 382 i procedimenti pendenti nella prima corte d’appello, 246 nella seconda. Calcolando il dato complessivo nella regione (il distretto di corte d’appello di Salerno ha 42 procedimenti pendenti, 37 iscritti nel 2007), si scopre che in Campania 372 persone in un anno hanno lamentato di essere state arrestate (e detenute) ingiustamente. Una media di una e passa al giorno. Domeniche, Natale, Pasqua e Ferragosto compresi.

 

E attenzione, ché il risarcimento per l’ingiusta detenzione lo può chiedere solo chi — codice di procedura penale alla mano — è stato «prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato (…). Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità». Insomma, se la storia va così si tratta di un errore (anzi, di una detenzione «ingiusta»). E di un costo: 235,83 euro per ogni giorno di carcere, 117,91 euro se si tratta di arresti domiciliari (lo ha stabilito la quarta sezione penale della Cassazione con una sentenza emessa il 13 maggio 2008), un tetto massimo di risarcimento fissato di 516.456,90 euro. Circa un miliardo di lire del vecchio conio, per intenderci.

Chiedere, ad esempio, all’ex manager Sip Vito Gamberale (14 giorni a Poggioreale, 112 agli arresti in casa e un risarcimento di 290 milioni di lire deciso il 22 novembre 2001). O all’allora presidente della giunta regionale della Campania Ferdinando Clemente di San Luca, poi deceduto (arrestato il 3 maggio 1993, una settimana dopo va ai domiciliari e ci resta fino al primo luglio, sarà risarcito il 3 aprile 2002 con 160.000 euro). O, ancora, all’imprenditore Vincenzo Russo, componente del consiglio direttivo dell’Associazione dei costruttori di Salerno (arrestato nel luglio 2001 con l’accusa di essere un camorrista, viene tenuto in cella per 17 giorni e ripagato per l’ingiusta detenzione l’8 dicembre 2006 con 46.000 euro). Casi eclatanti. Dietro i quali si nascondono le storie di chi per errore finisce in cella, ma non sui giornali.

 

Paolo Mancuso, ex capo del pool antimafia di Napoli e oggi procuratore della Repubblica di Nola, dice che quello del ministero della Giustizia sui procedimenti per ingiusta detenzione è «un dato che deve farci riflettere ». Certo, Napoli sconta «una situazione che non ha eguali in Italia», ha «migliaia di procedimenti per associazione a delinquere all’interno dei quali è più complicato delineare le singole responsabilità », ha una mole di arresti «giusti» impressionante, ha «una giurisdizione attenta» e «un Riesame sempre vigile». Però… «Però non c’è dubbio che questo dato ci debba far porre un problema. Ché qui, forse più che altrove, ci possono essere casi di magistrati troppo arrembanti o giudici troppo garantisti». E, alla fine, non è da escludere neppure che «probabilmente un ricorso eccessivo alle misure cautelari è dovuto anche alla spinta delle nuove istanze di sicurezza. I giudici vivono in un contesto sociale, sentono sulla propria pelle l’allarme criminalità. E agiscono di conseguenza ».

 

Oggi, a tre anni di distanza, suonano quasi profetiche le parole che il procuratore della Repubblica di Napoli Giovandomenico Lepore pronunciò l’11 ottobre 2004: «I risarcimenti per ingiusta detenzione? Bisogna prediligere la qualità del lavoro, non la quantità. È inutile portare avanti il processo quando si sa che finirà in una assoluzione». Le ingiuste detenzioni, beninteso, per la legge non sono colpa dei giudici. No. Quelle le paga lo Stato. Cioè i contribuenti. E lo Stato attraverso il ministero dell’Economia (cioè sempre contribuenti) paga anche i risarcimenti milionari — valore espresso in euro — per i procedimenti intentati ai sensi della cosiddetta «legge Pinto», quella sull’«irragionevole durata del processo». Il distretto di corte d’appello di Napoli, anche in questo caso, non se la passa bene: con i suoi 4.049 procedimenti nel 2007 era secondo solo a Roma (7.855), staccando di gran lunga Catanzaro (1.106 procedimenti).

 

Decisamente inferiore il numero dei procedimenti pendenti: nel frattempo ne sono stati definiti 3.355, così il carico di arretrati da smaltire è sceso a 2.721 (dato sempre relativo all’anno 2007, le statistiche del ministero della Giustizia hanno ovviamente «spostato» i procedimenti per facilità di calcolo, dal momento che i 4.049 procedimenti sull’«irragionevole durata» del processo a Napoli in realtà — ma non nelle schede riassuntive — sono in carico al distretto di corte d’appello di Roma, competente a decidere su quello di Napoli). Quel che allarma i giudici, però, è il trend assolutamente negativo. Erano appena 438 i procedimenti intentati nel 2003, sono balzati a 1367 nel 2004: dopo un lieve calo nel 2005 (1084), sono risaliti a 1528 nel solo primo semestre del 2006. Dopodomani, nel corso della consueta conferenza stampa che precede la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario (sabato, Salone dei Busti di Castelcapuano), il presidente vicario della corte d’appello di Napoli Luigi Martone avrà sulla scrivania i dati che il Ministero gli sta trasmettendo. Sono quelli relativi al 2008. E consegnano l’immagine di una giustizia che a Napoli — statistiche alla mano — in qualche settore arranca più che nel resto d’Italia. Non c’è però, in quelle carte, l’ultimo allarme che sta per arrivare dalle Procure di frontiera: Torre Annunziata, Nola, Santa Maria Capua Vetere. È la storia dei fascicoli già scaduti. È la storia di trentamila accuse che stanno per sparire da un solo ufficio giudiziario. È la storia dei reati cancellati. Ed è una storia che ha cifre da choc.

 

(fonte: Gianluca Abate, Corriere del Mezzogiorno, 27 gennaio 2009)