In cella senza perché: gli errori dei giudici costano 46 milioni l’anno

Duecentotrenta euro vale un giorno di carcere da innocente, la metà se per sbaglio ti hanno dato i domiciliari. Una cifra modesta per un danno incalcolabile. Messi però insieme, tutti i risarcimenti per gli errori che ogni anno i tribunali commettono, la somma diventa enorme: 46 milioni di euro. Tanto ha speso lo Stato italiano nel 2011 per gli errori giudiziari, 213 milioni tra il 2004 e il 2007. In media ogni anno 2.369 procedimenti per ingiusta detenzione, il record di assoluzioni e risarcimenti è a Napoli, poi viene Bari (382 procedimenti per ingiusta detenzione), Catanzaro 246. Seguono Lecce (194), Reggio Calabria (179), Messina (144), Roma (135), Palermo (69). Su 144 mila cause pendenti dinanzi alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, 14mila (circa il 10%) vengono dall’Italia, messa peggio di Romania (8,3), Ucraina (7,1), Serbia (5,9), Polonia (3,2). Solo Russia e Turchia hanno più casi di malagiustizia, rispettivamente con 35.350 (24,4%) e 17.150 (11,9%) ricorsi. Si calcola addirittura che in 60 anni di storia italiana gli innocenti perseguitati dalla giustizia siano stati oltre 4 milioni e mezzo.

I numeri sarebbero ancora più alti se la legge non stabilisse al massimo 24 mesi di tempo per fare ricorso contro il carcere da innocenti. Passato quel lasso, non si può più. Lo Stato ha sempre tempo, il vessato deve muoversi.

Dietro i numeri ci sono storie atroci di persone finite dentro per errore. Come quella di Angelo Cirri, arrestato il 9 aprile 2004 come autore di 13 rapine. Il teste principale disse che il rapinatore aveva l’accento campano e che fumava una sigaretta. Cirri è romano, ma secondo i giudici avrebbe simulato l’accento. E la sigaretta? Il dna sul mozzicone non tornava, eppure Cirri è stato dentro 3 anni e mezzo (13 anni di condanna), finché non è stato arrestato un altro, il cui dna corrispondeva a quello del mozzicone.

Pochi giorni fa viene liberato un manager milanese. Aveva ricevuto dal Perù un pacco da un mittente sconosciuto, con dentro 366 grammi di cocaina. Finito in carcere, ci resta un anno e mezzo, fino al processo che in due sole udienze lo assolve: non ha mai commesso il fatto.

Ventimila euro per 71 giorni in carcere e 30 di arresti domiciliari. Questo il risarcimento stabilito due mesi fa per Donato Privitelli, allevatore di suini a Enna, arrestato perché al telefono parla di «maialini» con un macellaio. Gli inquirenti erano convinti che si trattasse di partite di droga, poi ascoltano meglio le intercettazioni telefoniche e si rendono conto che i «maialini» erano suini.

Adriana Iacob, una badante romena, si fa 3 anni di carcere preventivo con l’accusa di omicidio, prima che si scopra che la perizia del pm contiene macroscopici errori e che l’anziana signora non è stata uccisa, ma è morta di infarto. Uno dei casi raccontati in Condannati preventivi da Annalisa Chirico (ed. Rubettino, prefazione di Vittorio Feltri, pagg. 160) da pochi giorni in libreria.

Sempre quest’anno un cittadino albanese, arrestato con l’accusa di sfruttamento della prostituzione. Resta in carcere per due giorni, prima che si scopra che il nome della persona da arrestare finiva con la «m», non con la «n». Ora chiederà i danni per ingiusta detenzione.

Walter Di Clemente, ristoratore abruzzese, viene arrestato nel 1994 per spaccio di droga e condannato in primo grado a 8 mesi. L’unica prova è un’intercettazione telefonica. Che però è sbagliata: le sue parole sono state travisate. Lo scriverà la stessa Corte d’appello dell’Aquila nella motivazione della sentenza con cui 18 anni dopo l’uomo viene risarcito per l’ingiusta detenzione subita.

Si è fatto sette mesi di carcere per non aver commesso il fatto Francesco Di Nicola, camionista, accusato di traffico internazionale di droga. Gli inquirenti sono convinti che il Francesco detto «Broccolone» sia lui. Errore, risarcito con 50mila euro. Si aggiunge agli altri che fanno 46milioni l’anno. Una terrificante finanziaria.

 

(fonte: Paolo Bracalini, Il Giornale, 1 dicembre 2012)