Follie giudiziarie tutte italiane: il caso Commisso

L’Italia è un paese per vecchi in galera. Ne sa qualcosa il detenuto in attesa di giudizio Antonio Commisso, 87 primavere, destinato a non poter raccontare mai ai nipotini il rocambolesco destino riservatogli dalla giustizia calabrese. Il vecchietto è stato arrestato due volte per le stesse fattispecie di reato per i quali era stato non solo assolto, a 73 anni suonati, ma pure risarcito con oltre 100 milioni di lire per ingiusta detenzione.

 

E così se a settant’anni il commerciante di tessuti di Siderno l’aveva scampata dall’accusa di guidare la cosca di famiglia, il 14 luglio scorso, prossimo agli 86 anni, il nonnetto, detto «U guagghia», è tornato a essere un compartecipe di vertice dell’associazione per delinquere criminale di stanza a Siderno guidata dall’omonimo Antonio Commisso, detto «l’avvocato», tra le più pericolose della Calabria secondo gli esperti d’Antimafia.

 

E così, per la giustizia, don Antonio è un paradosso: se è davvero un boss, l’idea di avergli rimborsato le giornate trascorse in cella con più di 60mila euro provoca brividi. Se non lo è, il rischio di rimborsarlo di nuovo (magari da morto) per le manette strette ingiustamente, renderebbe la vicenda ancora più kafkiana visto che all’iniziale concessione degli «arresti domiciliari» la stessa giustizia calabrese ha preferito sbatterlo dentro ritenendo la misura «casalinga» al di sotto della sua pericolosità sociale.

 

Così, nel caldo asfissiante di agosto, don Antonio è stato preso, infilato dentro un furgone cellulare della penitenziaria e trasferito a Bari nel reparto di massima sicurezza con un reparto sanitario che renderebbe «compatibile» la sua permanenza carceraria definita «incompatibile» per motivi di salute.

 

La cronaca più recente scaturita dalle inchieste «Crimine» e «Recupero» ci descrive il quasi novantenne Antonio Commisso impegnato a tempo pieno a infrangere le leggi. Fra le tante, presunte, malefatte, però, non gli vengono contestati omicidi o atti stragisti come all’ufficiale tedesco Erich Priebke, condannato duramente ma oggi fuori dal carcere. E questo, unito alle già precarie condizioni fisiche riscontrate dai periti di parte e dai consulenti del tribunale (che suggeriscono almeno il ricovero in strutture sanitarie attrezzate) fa dire a familiari e difensori che nei confronti dell’Antonio Commisso un certo accanimento c’è.

 

L’interessato, in carcerazione preventiva a 87 anni, mai condannato e in attesa di un giudizio che rischia di arrivare quando il nonnetto sarà deceduto, attraverso i legali fa sapere di non sollecitare trattamenti di favore, corsie preferenziali, sconti. Chiede solo un po’ di umanità e di curarsi come si deve per trascorrere gli ultimi scampoli di vita accudito dalla moglie, che di anni ne ha 86. In un letto d’ospedale. Oppure a casa. Comunque non dietro le sbarre dove ha trascorso «ingiustamente» oltre due anni dopo il primo arresto nel 1993, la condanna a 12 anni di primo grado, l’assoluzione definitiva in appello.

 

Antonio Commisso ha perso 20 chili in un anno. Cammina a stento. «Le sue condizioni sono allarmanti – scrivono i medici – lo scadimento psicofisico e l’inattitudine ad affrontare le primarie esigenze di vita, già riscontrate dal perito d’ufficio, hanno assunto proporzioni irreversibili, prossime allo scompenso terminale». Detenuto in attesa di un giudizio, dunque. E in attesa di passare a miglior vita da una residenza obbligata spesata da quello stesso Stato che l’ha già rimborsato per averlo ingiustamente arrestato in «gioventù».

 

(fonte: Gian Marco Chiocci, il Giornale, 6 novembre 2011)