Fikri: «Io, marchiato dal caso Yara. Libero, ma nessuno mi dà più lavoro»

Mohamed Fikri

Mohamed Fikri, quello di Yara Gambirasio, indagato prima per omicidio e poi per favoreggiamento. Quello del fascicolo archiviato lo scorso 9 agosto, dopo due anni e mezzo sotto indagine. Ma «Fikri» è un marchio che gli è rimasto, dice lui, che gli impedisce di trovare lavoro e, di conseguenza, blocca il rinnovo del permesso di soggiorno. È tornato in Italia dal Marocco ora è ospite di un amico a Padova.

«A gennaio ero andato in Marocco e pensavo di non tornare più — racconta —. Non ero riuscito a rimanere qui, perché non c’era la possibilità di lavorare. Poi, però, quando ho visto che hanno archiviato il mio caso sono tornato, pensando che il problema fosse risolto».

 

Dove si trova?

«Sono a Padova, da un mio amico. Però quando vado a bussare a qualche porta, le trovo tutte chiuse. L’archiviazione non ha cambiato nulla».

 

Quali porte sono chiuse?

«Lo scorso anno ho chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno, ma quando sono andato alla questura di Treviso ho trovato tutto bloccato».

 

Prima dell’archiviazione, intende dire.

«No, sono andato anche di recente e ho trovato tutto fermo. Mi hanno detto che non possono darmi il documento, perché prima devo

trovarmi un lavoro. Mi hanno detto di prendermi un avvocato, ma non ne ho la possibilità».

 

Per avere il permesso di soggiorno bisogna avere un lavoro. Vale per tutti.

«Per me è diverso. Non riesco a trovarlo».

 

Non è un bel momento per nessuno. Dove è andato a cercare lavoro?

«Ovunque, anche nei ristoranti».

 

Che cosa le dicono?

«C’è un po’ di crisi, ma secondo me hanno paura di qualcosa».

 

La riconoscono?

«Qualche giorno fa ero in treno. Un uomo mi ha chiesto sei Fikri? Abbiamo parlato e alla fine mi ha domandato se davvero non avessi mai conosciuto la ragazzina. Possibile che la gente se lo chieda ancora?».

 

Quando chiede lavoro che succede?

«Se non mi riconoscono, quando mostro i documenti capiscono che sono io».

 

Qualcuno le ha mai detto o fatto capire che non la assume perché lei è Firki?

«Ho chiesto a Padova e a Treviso, anche a Bergamo. “Tu no perché sei Fikri” non lo dicono. Rispondono che non hanno lavoro da darmi, ma secondo me è una scusa. Sono andato in un’agenzia a Padova e la signora che ci lavora mi ha detto: “Nessuno si fida a dartelo, devi

avere qualcuno che garantisca”».

 

Sì, ma nel concreto le è mai successo?

«Proprio due giorni fa, tramite un amico, sono andato da una persona per un lavoro in un’azienda agricola, a Padova. L’amico gli aveva detto: “C’è un ragazzo che conosco e che vuole lavorare”. “Digli di venire”, gli aveva risposto lui. Ma quando mi sono presentato mi ha detto che non voleva problemi, anche perché sono senza documenti».

 

Ha provato a chiedere al suo ex datore di lavoro Roberto Benozzo?

«Ci siamo sentiti, ma ha poco lavoro».

 

Finito sotto indagine, aveva detto che gli amici si erano allontanati. E ora?

«Ognuno ha i suoi problemi. Se vado ospite da qualcuno, mi tiene ma fino a un certo punto. E lo capisco».

 

Difficoltà legate al caso Yara?

«Non ho mai avuto problemi in Italia, ho sempre lavorato ed è andato sempre tutto bene. Poi, quando è successo questo problema, la mia vita è cambiata. Non è giusto che una persona si sacrifichi per qualcosa che non ha fatto e che poi lo lascino solo».

 

Lasciato solo da chi?

«Dalla giustizia».

 

Lei vuole stare in Italia?

«Se passo 7 anni della mia vita in un Paese, dove ho fatto tanto per avere lavoro e documenti, non posso lasciare tutto se una cosa non l’ho

fatta».

 

E ricominciare in un altro Paese?

«Dovrei ripartire da zero e sarei un clandestino. Per fortuna per ora ho questo mio amico che mi aiuta. Ma tutto il mio passato è gratis?».

 

Aveva annunciato che avrebbe chiesto il risarcimento allo Stato.

«Quello lo faccio perché ho perso molte cose. Non l’ho ancora fatto ma lo farò».

 

 

(fonte: Giuliana Ubbiali, Corriere del Veneto, 26 settembre 2013)