«Eliminare i 2 anni di tetto per chiedere l’indennizzo»

L'avvocato Gabriele Magno

«Gli sbagli avvengono per i motivi più vari. Ma spesso manca il coordinamento fra pm e investigatori dei carabinieri o della polizia, oppure l’inquirente si innammora di una tesi. Il risultato è sempre lo stesso: un innocente in galera». Con Gabriele Magno, presidente dell’associazione «Articolo 643», quello che disciplina gli errori giudiziari, cerchiamo di capire come mai ogni anno circa 2500 persone chiedono il rimborso per ingiusta detenzione o la riparazione dell’errore.

 

Cominciamo dal fatto che si ricorre spesso alla carcerazione. «Il magistrato – spiega Magno – sceglie poco spesso le misure alternative al carcere perché reputa la detenzione lo strumento più forte, anche per ottenere confessioni. È una forma di pressione». D’altra parte, solo un terzo delle 2500 richieste di indennizzo annuali viene accolto. «Due terzi sono rigettate anche se c’è stata archiviazione o proscioglimento, ufficialmente per colpa grave o dolo del richiedente, che spesso viene considerato colpevole del suo arresto – conferma l’avvocato – Per esempio, quando una persona frequenta pregiudicati che stanno organizzando un traffico di droga, ciò viene considerato colpa grave o dolo anche se lui è all’oscuro di tutto. Ma il dolo implica la volontarietà e, allora, nondovrebbe esserci neanche l’assoluzione. Se il fatto non sussiste, come faccio a essere colpevole? È una contraddizione che va sanata».

 

C’è poi il problema che le ordinanze di indennizzo negli ultimi anni sono diminuite per ragioni di bilancio, anche se aumentano i casi. «Il discorso di colpa o dolo è un’escamotage che serve a falcidiare le liste di richiesta per ingiusta detenzione – sottolinea il presidente dell’associazione – E questo per motivi economici. Si spendono in media 50 milioni all’anno per gli indennizzi. Se tutte le domande fossero accolte, la spesa salirebbe a 150 milioni. Le Corti d’appello, poi, seguono un criterio artitmetico. Ma non tutti gli errori incidono nello stesso modo. Il danno subito cambia da situazione a situazione e questo andrebbe preso in considerazione. Inoltre c’è il problema della riabilitazione dell’immagine. Noi cerchiamo di pubblicizzare il più possibile la notizia dell’assoluzione, del proscioglimento o della scarcerazione – prosegue Magno – Se l’arresto va in prima pagina, il ritorno in libertà del detenuto finisce in genere in un trafiletto della penultima».

 

Infine esiste la questione dei due anni come termine massimo per presentare la richiesta di indennizzo, pena inamissibilità. Che fare? «Bisognerebbe cancellare dal codice le parole “entro due anni” e sostituirle con “in ogni tempo” – è la proposta del legale – Così i magistrati userebbero la custodia cautelare con più moderazione. La casistica che ho sotto gli occhi mi dice che quasi la metà dei soggetti non inoltra la richiesta nei termini utili, quindi si arriva a una sorta di prescrizione dell’errore».

Mai magistrati italiani sono così approssimativi? «Conosco magistrati bravissimi e in Italia ce ne sono molti – precisa Gabriele Magno – È il sistema che non va. Ma in 25 anni gli errori sono stati sanzionati in tre o quattro casi soltanto, episodi così plateali che non era possibile chiudere un occhio.  Io sono per l’indipendenza della magistratura. Non voglio che la politica controlli le toghe. Ma neanche il contrario».

 

(fonte: Maurizio Gallo, il Tempo, 18 settembre 2013)