Mario Conte E se fossi tu l'imputato

Addio a Mario Conte, magistrato vittima della malagiustizia

Gli errori giudiziari sono qualcosa che può capitare a tutti. Finire in carcere da innocenti, vivere un periodo più o meno lungo di ingiusta detenzione, è molto meno raro di quello che si possa pensare. Un fenomeno che in Italia è decisamente sottovalutato perché – numeri alla mano – costituisce in realtà una vera emergenza sociale: come altro definireste i circa mille casi di riparazione per ingiusta detenzione che ogni anno in media si verificano nel nostro Paese, da più di vent’anni a questa parte? La storia del magistrato Mario Conte, una precocissima esperienza a Palermo in prima linea nell’antimafia seguita da una carriera come pm a Bergamo, sotto questo aspetto è illuminante. Finì trascinato in un’accusa infamante, per un giudice dalla condotta cristallina come lui, per opera di un pentito. Travolto da capi di imputazione pesantissimi. Sottoposto a un’odissea giudiziaria a cui, nel tempo, si aggiunse un macigno ancora più colossale: una malattia terribile come il mieloma multiplo. Difficile dire se provocata, magari indirettamente, dal calvario personale cui già era stato sottoposto dal momento dell’incriminazione infondata. Ma destinata comunque a cambiargli la vita per sempre. E a far correre la mente a un altra celebre vittima di un gravissimo caso di malagiustizia, anche lei uccisa da un male incurabile: Enzo Tortora.

Mario Conte ha impiegato 18 anni per dimostrare la sua totale estraneità a ogni accusa. Ha vinto contro la malagiustizia, ma ha dovuto cedere a qualcosa contro cui, purtroppo, non poteva che soccombere. Di lui ci resta un libro testamento dal titolo chiaro ed efficace come pochi altri. Perfetto per ricordare a tutti che finire nelle maglie dell’errore giudiziario può accadere a chiunque: a prescindere dalla condizione sociale, dalla provenienza, dalla collocazione geografica. E quando la giustizia sbaglia, sono dolori veri.

 

Raccontare la sua storia in giro per l’Italia sarebbe stato, per quanto possibile, un piccolissimo risarcimento alle vicende nelle quali è stato suo malgrado coinvolto. Ma Mario Conte non ce l’ha fatta: è spirato pochi giorni prima che il suo libro «E se fossi tu l’imputato? Storia di un magistrato in attesa di giustizia» (Guerini e Associati Editore) potesse essere presentato nel paese che aveva dato le origini alla sua famiglia, Villanova del Battista, al quale era molto legato. Quello che ha riguardato Conte può essere catalogato come mero errore giudiziario, uno di quelli che in Italia, purtroppo, non sono così rari?

Napoletano di nascita, ma irpino di Villanova per origini familiari, Conte era entrato in magistratura a soli 27 anni: da allora, a Bergamo per anni da pubblico ministero presso la Procura della Repubblica. «E se fossi tu l’imputato?» è il suo libro-testamento che invita a fuggire, a rigettare il concetto di giustizia come mero e vuoto esercizio del potere. Un titolo che è una domanda secca a chi legge, per far intendere che l’errore può colpire chiunque: anche magistrati come lui. Perché gli ultimi 18 anni della vita di Conte sono un vero e proprio calvario.

Prima, nel 1997, viene accusato da un pentito di essere a capo di una serie di presunte operazioni illecitamente gestite dai militari del Ros di Bergamo e di Roma, che avrebbero costituito una struttura deviata per strumentalizzare le norme sulla consegna controllata di stupefacenti, al fine di conseguire brillanti operazioni.

Nel 2003, Conte riceve il primo avviso di garanzia. Le accuse, gravissime, gli piombano addosso come un macigno: associazione a delinquere, traffico di stupefacenti, falso, peculato. «Io sono un pm, non un narcos», reagisce d’istinto. Normale, per chi aveva trascorso quattro anni, dal 1992 al 1996, da applicato presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Là dove la mafia la si combatte giorno dopo giorno, minuto dopo minuto.

Al dramma giudiziario si aggiunge quello strettamente personale, che alcuni neurochirurghi ritengono legato al primo a filo doppio: nel 2006 gli viene diagnosticato un mieloma multiplo. Conte non si arrende e alla battaglia per la sua innocenza affianca quella per la guarigione.

Battaglie che terminano nello stesso periodo, seppur con esiti drammaticamente opposti: dopo aver rinunciato alla prescrizione, nel luglio 2014 viene assolto con formula piena dalla Corte d’Appello di Milano. Il 2 ottobre scorso, invece, deve arrendersi al male che in 9 anni lo ha divorato.

Dopo i funerali, tenuti a Bergamo, oggi, con una celebrazione alle 17 presso la Chiesa di Santa Maria Assunta, lo ricorderà anche Villanova del Battista. Oltre all’insegnamento di una vita integerrima, Mario Conte lascia un libro che è anche un testamento, una visione del tanto discusso e discutibile sistema giuridico italiano maturata attraverso la propria professione e la vicenda che lo ha coinvolto. Un sistema che egli conosce benissimo ma del quale rimane vittima.

Eppure, basterebbero «piccoli accorgimenti: bisogna recuperare – scrive Conte – le distinzioni dei ruoli e la cultura della prova, oggi spesso soppiantata da una visione della giustizia non già come servizio nei confronti del cittadino, ma come esercizio di un potere che funge da ammortizzatore sociale, scadendo così in un’attività di supplenza di altri poteri dello Stato incapaci di esprimere il proprio ruolo».

 

(fonte: Il Mattino, 10 ottobre 2015)

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